un impiegato in favela

Archive for the ‘Finestra sulla Nigeria (del nord)’ Category

Un giorno di libertà, un giorno di umanità

In Ad Antonio Spirito, Finestra MEMO, Finestra su Longacres, Finestra sul Ponte Lambro, Finestra sulla favela Rocinha, Finestra sulla Nigeria (del nord), Finestra sulla Sierra Leone, Finestra sulla Sierra Leone Il ritorno, Finestra sulla terra, Il libro della Finestra, Lookman, l'uomo che guarda on 4 luglio 2018 at 15:17

marianina, favela rocinha

Sei anni fa nacqui, da allora mi tenni affacciata come una namoradeira alla favela Rocinha di Rio de Janeiro ed alla sua grande umanità, oltre i pregiudizi sulla sua presunta pericolosità; alla Sierra Leone colpita dall’ebola ed all’umanità che l’epidemia ha in parte cancellato (a proposito, a questi tempi, in molti lamentavano che il virus potesse raggiungerci coi barconi); alla Sierra Leone che recuperava il trauma ed era già stata dimenticata ed alle sue remote comunità rurali; alla Nigeria del nord-est, quella di Boko Haram, ed al conflitto armato che l’affliggeva; al Medio Oriente, a Damasco sotto i mortai, alla sua storia antica, a un ponte iracheno sul fiume Tigri divelto dall’ISIS, al Libano della decennale guerra civile e poi al deserto, da dove si scorgeva all’orizzonte un puntino che prendeva forma fino a giungere a tuo cospetto: era un uomo misterioso proveniente dalle dune per soccorrerti, non distante da Amman; mi tenni affacciata fino a Longacres e all’umanità “dei detenuti e dei detenenti” delle carceri zambiane e dei loro amori, quelli vissuti e perseguitati ai tempi del colera; mi affacciai alla storia di Lookman, che è stato con noi a lungo; mi affacciai persino al Ponte Lambro, mi affacciai a tutta questa grande umanità.

Per i il sesto compleanno di Finestra sulla favela, Leggi il seguito di questo post »

Dopo un lustro ancora Namoraidera

In Finestra MEMO, Finestra sulla favela Rocinha, Finestra sulla Nigeria (del nord), Finestra sulla Sierra Leone, Finestra sulla Sierra Leone Il ritorno on 2 luglio 2017 at 13:51

Da Finestra MEMO, Di Un impiegato in favela

“Prendi la strada che porta fortuna, scegli la via che va sulla luna” (Vasco)

Da Rio a Freetown alla nigeria al ME

In questi giorni, tutte le namoraideras che, affacciate alla Finestra, si sono lasciate andare a sogni e amore per l’unica grande umanità della quale facciamo parte, sono autorizzate, se lo desiderano, a staccare lo sguardo dal cielo, o a rivolgerlo lassù in modo ancora più intenso, per festeggiare il quinto anno de Finestra sulla favela. Siamo partiti dalla Maggie’s farm, siamo stati accolti da una folla di bimbi dagli occhi frizzantini in ciabattine, pantaloncini e magliettina: correvano sul dorso di una collina per andare a scoprire qualche novità. Siamo tornati a Ponte Lambro, abbiamo capito che l’epidemia di ebola era qualcosa che stava accadendo a persone vere, abbiamo imparato a conoscere una crisi umanitaria ancora oggi ignorata, quella nigeriana, o meglio del lago Ciad (mentre ci si preoccupa degli sbarchi e non si vuole capire che vengono per una gran parte proprio da là); ricongiungendo due parti di umanità che di solito si trascurano a vicenda, abbiamo vissuto il sogno di un volo, restando appesi ad ogni frammento di positiva concretezza che ogni favola che non è favola ma storia vera ci ha concesso. Siamo atterrati in un paese lontano, o meglio, medio-lontano.

A namoraidera: il  mezzo busto di legno che raffigura una ragazza di pelle nera che, con il viso appoggiato al palmo della mano, guarda il cielo trasognata e sospirante

A namoraidera

Nei prossimi giorni resta affacciata, o namoraidera, perché Leggi il seguito di questo post »

Ultimo racconto di favela e auguri!

In Ad Antonio Spirito, Finestra sulla favela Rocinha, Finestra sulla Nigeria (del nord), Finestra sulla Sierra Leone Il ritorno, Il libro della Finestra on 31 dicembre 2016 at 15:30

Di Un impiegato in favela

ultimo racconto dell'anno finestra tra sierra leone, favela rocinha e nigeria

Mi chiamo Suliman Kamara, ho gli occhi lucidi, le guance e il panciotto gonfi, la camiciola beige e i pantaloncini con le vele colorate, mi portò via l’ebola due anni fa. Ciao Suliman, sono un ex consulente informatico, ora cooperante, ti accompagnai io con le mie braccia per quel tuo ultimo viaggio, e mentre ti accompagnavo ti promisi che avrei raccontato di te mille volte e mille volte ancora. Sono Fatmata, faccio la suya: è così che chiamiamo in Nigeria gli spiedini di carne di manzo, le vedi quelle vacche dalle costole sporgenti e le corna che si stagliano verso il cielo sfocato dalla sabbia? Quelle finiranno qui, prima o poi. Se la sono spassata mentre c’era Boko Haram in città eh?! Se la sono spassata perché io non c’ero, avevo dovuto sospendere l’attività per fuggire: qui bruciava tutto. Adesso Boko Haram si è spostata verso nord ed io sono di ritorno, che tutte le vacche siano avvertite! Sono Ibrahim, sono un ex-insegnante di scuola, ora insegno a questi bambini nel campo profughi dove ci ritroviamo, ma è fatto di capanne montate alla meglio nel fango, ci vorrebbero acqua pulita e pane per questi qua… e a noi va ancora bene! dove stavamo prima non c’era niente da mangiare e a fiorire erano le sepolture. Ehi mané! Sono Thiago, ti ricordi di me?! Mi hai un po’ Leggi il seguito di questo post »

“Una carestia come non si è mai vista”

In Finestra sulla Nigeria (del nord) on 26 ottobre 2016 at 15:51

Da Finestra sulla Nigeria (del nord), di Un impiegato in favela

È di recente pubblicazione la notizia della liberazione di alcune delle bambine di Chibok, quelle rapite due anni fa dalle truppe di Boko Haram, per intenderci, quelle della campagna #BringBackOurGirls. Tutti coloro che hanno seguito la vicenda sono più o meno consapevoli del fatto che ancora un centinaio delle ragazze di Chibok si trova sotto il controllo forzato del gruppo armato sedicente islamico. Però in pochi sono consapevoli del contesto di morte e distruzione che affligge la regione del lago Ciad (Nigeria, Camerun, Niger, Ciad). Ho tradotto un recente articolo del Washington Post che descrive sinteticamente la situazione. Ho aggiunto alcune note personali sul testo. In coda all’articolo una galleria fotografica che viene dalla mia esperienza sul campo e che credo dia l’idea delle dimensioni della crisi.

finestra sulla nigeria del nordest - oltre il deserto

Un campo sfollati nello stato di Yobe, Nigeria

“Una carestia come non si è mai vista” Leggi il seguito di questo post »

Oltre il deserto / Capitolo 3 (ultimo)

In Finestra sulla Nigeria (del nord) on 9 settembre 2016 at 10:44

Da Finestra sulla Nigeria (del nord), di Un impiegato in favela

Capitolo 3 – Ponte Lambro, casa?

“Sono proprio contento di essere vivo, prossimo al congedo; 
certo, vivo in un mondo di merda, questo sì,
ma sono vivo e non ho più paura.”
(Da Full Metal Jacket, Stanley Kubrick)

finestra sulla nigeria del nordest (62)

Un attimo prima, ad Abuja, tutto bisbigliava: ai bordi della strada tralicci reggevano a stento fili elettrici traballanti, lampioni friggevano, auto suicida facevano slalom tra le corsie spintonandoti addosso blocchi d’aria; ossa di cantieri scricchiolavano sotto il peso della loro lenta crescita prefigurando future ascese e tracolli; ai bordi dell’asfalto si affacciavano teste preistoriche dai gesti buffi degli agama agama, racconti di decadenza presente e futura, boccioli di disillusioni, strette di mano velenose, buste di ufficiali corrotti, rincorse disperate, fughe, foglie annerite dal petrolio, piume abbrustolite dal gas, puzza di pelle brasata, abbaglianti insegne e stazioni di rifornimento deserte.

Smonto dall’auto. Scende anche Emmanuel, l’autista. Mi offre sottomessi slanci di affetto dichiarandomi che dovrei tornare, che gli mancherò; si offre di allacciarmi le scarpe, di caricarsi sulla schiena le mie valigie; mi propone con insistenza di presentarlo alla mia famiglia.

All’ingresso dell’aeroporto un’invadente pancia verde-militare richiede il passaporto ad una giovane ragazza che mi precede nella fila e non la lascia in pace fino a che non la raggiunge il marito più grosso di lui. Mi tornano in mente i posti di  blocco del nord-est: “Non hai qualcosa per me?”, sussurra la divisa col kalashnikov, “guarda bene, neanche una bottiglia d’acqua? Facciamo la prossima volta?”… “Solo i passeggeri!”, si affanna il militare, “tu, mostrami il biglietto!”. Un uomo riesce a sgattaiolargli sotto l’ascella: “torna indietro, canaglia!” “Yessir, accompagno il signore al check-in ed esco” “Esci ora!” “Sir…” “Ora!”, accarezzando il mitra.

L’aeroporto mi accoglie tra pareti ammuffite, scritte sbiadite e calcinacci. Seguono l’ispezione dei bagagli e il controllo dei documenti: “hai pagato per il rinnovo del visto?… come no? devi pagare la tassa, puoi pagarla ora a me? non hai contanti? passi per questa volta, non perdiamo tempo, circolare!”. Al metal detector qualcuno affonda le mani nell’intimità del mio zaino, cerca qualcosa di prezioso, non trova niente. Avanzo. Oltre quella linea gialla ricominciano i miei diritti. Un passo alla volta. Oltre quella linea gialla ricomincia casa.

Agli imbarchi risuona nel petto di ognuno la paura della bomba. Ci scambiamo sguardi furtivi, boccheggiamo davanti al condizionatore, fuori avanza la notte. Due ore di attesa e sarò a bordo.

È l’alba a Parigi. Corridoi Leggi il seguito di questo post »