Da Finestra sulla Nigeria (del nord), di Un impiegato in favela
È di recente pubblicazione la notizia della liberazione di alcune delle bambine di Chibok, quelle rapite due anni fa dalle truppe di Boko Haram, per intenderci, quelle della campagna #BringBackOurGirls. Tutti coloro che hanno seguito la vicenda sono più o meno consapevoli del fatto che ancora un centinaio delle ragazze di Chibok si trova sotto il controllo forzato del gruppo armato sedicente islamico. Però in pochi sono consapevoli del contesto di morte e distruzione che affligge la regione del lago Ciad (Nigeria, Camerun, Niger, Ciad). Ho tradotto un recente articolo del Washington Post che descrive sinteticamente la situazione. Ho aggiunto alcune note personali sul testo. In coda all’articolo una galleria fotografica che viene dalla mia esperienza sul campo e che credo dia l’idea delle dimensioni della crisi.

Un campo sfollati nello stato di Yobe, Nigeria
“Una carestia come non si è mai vista”
Mentre la Nigeria contrasta i terroristi islamici, a milioni rischiano di morire di fame.
BANKI, Nigeria — Sono sopravvissuti a Boko Haram. Adesso molti di loro lottano contro la fame.
Nell’angolo a nord-est di questo paese, più di tre milioni di individui (ndr: sono sette milioni nell’intera regione) nella condizione di sfollati, isolati dal conflitto, stanno affrontando uno dei più grandi disastri umanitari del mondo. Ogni giorno sempre più bambini muoiono per carenza di cibo. Malattie potenzialmente curabili uccidono gli altri. Perfino la poliomielite è tornata a diffondersi.
Circa un milione e mezzo di vittime (ndr: a me ne risultano due milioni e trecentomila), sfuggiti agli estremisti islamici, sopravvivono in campi improvvisati, edifici disastrati dai bombardamenti e nelle comunità ospitanti al contorno del conflitto, ricevendo beni di prima necessità dalle organizzazioni internazionali. Altri due milioni di persone, secondo le Nazioni Unite, sono ancora irraggiungibili a causa della presenza dei combattenti di Boko Haram, che controlla i villaggi e pattuglia le aree circostanti.
“Vedremo, credo, una carestia come non l’abbiamo mai vista,” a meno che non sia fornita assistenza immediata, ha detto Toby Lanzer, il coordinatore ONU per gli aiuti umanitari nella regione.
Alla sconvolgente crisi di fame creata dagli insorgenti (ndr: dire che è “creata dagli insorgenti” non è molto oggettivo a mio avviso: ciò che determina la crisi è il conflitto e la mancata decisione del Governo di creare corridori umanitari per consentire la fuga dei civili e la loro protezione in aree sicure, comunque…) è stata in gran parte negata visibilità [presso la comunità internazionale], in parte perché per i gruppi umanitari e per i giornalisti è molto pericoloso visitare la zona. Ma i fallimenti istituzionali hanno esasperato la situazione: per un anno intero le Nazioni Unite e i gruppi umanitari hanno drammaticamente sottostimato la portata del disastro e il governo nigeriano ha rifiutato di ammettere che un enorme numero di persone stanno patendo la fame nella seconda nazione più ricca dell’Africa (ndr: seconda dopo il Sudafrica per livello di PIL, ma si noti che in un Paese che estrae petrolio la benzina viene importata). Migliaia di persone sono già morte per la mancata azione, dicono gli esperti di soccorso.
“Si tratta di un completo fallimento del sistema,” ha dichiarato Natalie Roberts, un program manager di Medici Senza Frontiere. Ci è volute un anno perché le squadre umanitarie dell’ONU arrivassero nelle città “liberate” dai ribelli dall’esercito nigeriano nella loro maggiore offensiva militare che è cominciata ad inizio 2015 (ndr: Il motivo è che spesso una zona viene “liberata” dal conflitto, ma le strade per arrivarci restano pattugliate da Boko Haram). Fino a che, di recente, le Nazioni Unite hanno portato solo squadre esigue al nord-est. Il mondo intero ha delegato alle agenzie del governo nigeriano, dolorosamente impreparate, la fornitura di assistenza, non rendendosi conto, hanno detto gli ufficiali ONU, della scala del disastro.
Anche adesso le Nazioni Unite ammettono che stanno distribuendo cibo ad una sola frazione dell’insieme di persone che ne hanno bisogno. Dicono che la loro missione nello stato di Borno, all’epicentro della crisi, è tragicamente sotto-finanziata. L’UNICEF ha di recente avvisato che nel prossimo anno 75.000 bambini moriranno nelle condizioni di carestia nelle quali si trova Borno e i due stati adiacenti a meno che non arrivi più assistenza.
Che il livello della crisi si stia alzando è evidente in luoghi come Banki, una città di circa 15.000 abitanti nei pressi del confine con il Cameroon controllata da Boko Haram fino a circa un anno fa. Una di queste mattine quattro bambini malnutriti si contorcevano nei letti di una clinica gestita da Medici Senza Frontiere.

Adam Adam, di 15 anni, piange di fianco al corpo della figlia di sei mesi, Fana Ali, a casa loro a Banki, in Nigeria, il 28 settembre. Fana è stata portata in una clinica per malaria e stato di grave malnutrizione acuta. I dottori hanno deciso che aveva bisogno di cure presso un ospedale, a la loro richiesta di scorta militare nella zona di guerra è stata negata senza spiegazioni e Fana è morta poco dopo. (Immagine dal Washington Post).
Ndr: Nel nostro mondo la mancata visibilità mediatica implica carenza di fondi per aiuti umanitari e poi abbandono, violenza, morte. Nella nostra fetta di mondo viviamo la Nigeria come un Paese ricco, ma la percezione di benessere che deriverebbe dai dati economici è del tutto illusoria. Basterebbe chiedersi per quale motivo i nigeriani rappresentano il numero maggiore di presenze negli sbarchi sulle coste italiane, ecco i dati UNHCR. Ciò vale anche per altri Paesi che non si fregiano di PIL elevati e nei quali sono in corso guerre ignote (come il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana) e per i Paesi che l’Occidente percepisce come fiorenti luoghi turistici, speranza del Continente africano, e dai quali in realtà, per la mancata difesa dei diritti umani, per il mancato rispetto delle minoranze etniche, per potere, per motivi storici e per corruzione si originano altre crisi umanitarie gravi come quelle sopra descritte (vedi triangolo Etiopia-Somalia-Eritrea).