un impiegato in favela

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Iraq, insegnare ai bambini nati sotto l’ISIS

In Finestra MEMO on 9 marzo 2018 at 19:07

Da Finestra MEMO, Di Un impiegato in favela

This is the time
because there is no time
(Lou Reed)

Iraq Nina Kimber e Rocco - foto di Giovanni Vezzani

Non c’è mai tempo, nemmeno di raccontare, né di leggere, né di scrivere un post per Finestra MEMO. Perciò proprio adesso è tempo di condividere; ecco un’intervista realizzata da niente di meno che una radio australiana in lingua italiana, per COOPI, e per i bambini iracheni, per far conoscere di loro:

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Un impiegato in favela

Finestra su che cosa?

Nina, Kimber e Rocco (t’immagini?)

In Finestra MEMO on 28 gennaio 2018 at 15:12

Da Finestra MEMO, Di Un impiegato in favela

Iraq Nina Kimber e Rocco - foto di Giovanni Vezzani

Nei pressi del fiume antico, il fiume ferito dalle scaglie di ferro e cemento del ponte spezzato; tra i cartocci arrugginiti, gli avanzi delle automobili divelte da quelle stesse bombe che si portavano in ventre; tra le lacrime di ferro, immobilizzate nell’attimo dell’esplosione, sospese, insieme ai giochi di plastica dei bimbi ora svaniti; tra le tracce delle scuole piegate di dolore sulla loro stessa pancia, là in fondo, non poi così lontano, diciamo medio lontano, da qualche parte, tra i frammenti degli ospedali, si aggira una bimba che, con gli occhi chiari e sorpresi e con le dita, sfiora gli spiriti degli uomini che stringevano le valvole dei pozzi petroliferi con la faccia fatta nera, la pelle spaccata come terra arida dei contadini che infilavano boccioli nel deserto; la bimba sorride di meraviglia per un palloncino, insieme alla signora anziana che dice di essere sua nonna e che forte del bastone scorge ancora in quell’inferno di frammenti la sua vita di prima; la bimba sorride di meraviglia insieme al fratello più grande, quello dai capelli corvini con la riga a destra, che fende la matita come fosse l’unica arma rimasta per diventare grande.

Ma lasciamo parlare loro, ecco qui sotto Leggi il seguito di questo post »

Nina, Kimber e Rocco (racconto e VIDEO)

In Finestra MEMO on 14 gennaio 2018 at 21:05

Da Finestra MEMO, Di Un impiegato in favela

Nina Kimber Rocco Iraq

K.: – togli la scimmietta. N.: – eh? K.: – ho detto: togliti la scimmietta di là dietro! N.: – ah, la scimmietta? me l’ha attaccata il colonnello, non mi dà un tono? K.: – Nina, non stiamo andando a farci una scampagnata. R.: – zitte voi due. K.: – ma è Nina, non vedi?, gira con la scimmietta appesa al didietro. R.: – smettila. K.:- chi, smettila? è lei che… R.: – Kimber, tu smettila; e tu, Nina, togliti di dosso quella stupida scimmietta. N.: – io la tolgo se tu mi dici dove stiamo andando. Poi fa caldo. R.: – andiamo a Qayyarah, ecco dove andiamo, adesso silenzio per favore. K.: – fin laggiù? È lontano. hanno rifatto il ponte crollato? R.: – no, ce n’è uno galleggiante. N.: – uno galleggiante? Galleggiante di quelli che galleggiano? K.: – sì, stupida, e crollerà mentre tu passi e affogherai nel Tigri con la scimmietta, ah ah ah! N.: – zitta tu, mi fai piangere. R.: – zitta, Kimber. K.: – è Nina che non sta mai zitta. N.: – chi, io? R.: – zitte entrambe.

Io me ne sto anche zitta ma la scimmietta non me la tolgo, ecco, e non lo dico a nessuno, tanto sono in coda al convoglio, anzi, la scimmietta chiude il convoglio, ecco. Zitta, zitta e zitta e marciare, Rocco non sa dirci altro e noi non ne sappiamo mai nulla di quello che dobbiamo fare. Ma io lo so lo stesso, dove andiamo, ecco: finiremo oltre Leggi il seguito di questo post »

Amman, la città verticale

In Finestra MEMO on 13 agosto 2017 at 12:30

Da Finestra MEMO, Di Un impiegato in favela

giordania amman Finestra sulla favela

Vagavo nel deserto alla ricerca di antiche rovine, avevo noleggiato un’auto d’occasione, un’occasione di cui mi pentii dopo pochi chilometri, quando la gomma esplose e mi accorsi che al posto della ruota di scorta c’era un cacciavite. I chilometri lasciati alle spalle erano troppo pochi per poter nascondere a me stesso che mi ero fatto fregare, troppi per tornare indietro. Guardai lontano di fronte a me, solo dune e cielo, mi voltai ed era lo stesso; mi rivolsi in alto e un raggio di sole mi colpì. Ero lontano da tutto. Potevo morire per davvero. Morire di ingenuità e di fragilità di copertoni. Mi strofinai gli occhi, li dischiusi di nuovo. Mi sembrava che qualcosa fosse cambiato là in fondo, sforzai la vista, sulla linea dell’orizzonte era comparso un puntino nero. Si allargava e tornava a restringersi e si dimenava e si scomponeva, il puntino che, immerso nel ballo fluttuante della fata morgana, mano nella mano con lei, facendosi macchia, danzava col ventre e si allargava e si avvicinava, si avvicinava a me. C’era speranza per me. Sentii i muscoli della schiena distendersi, mi lasciai andare ai ricordi di poche ore prima: eppure solo poche ore prima, sorseggiando una birra, incosciente del destino pronto a colpirmi, me ne stavo affacciato ad una bella terrazza che dava su Amman Est.

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Affacciato, osservo il volteggiare ordinato di uno stormo di piccioni, uno di loro sembra guidare il volo, gli altri lo seguono ordinati in due file a V. Lo stormo gira in tondo; sullo sfondo, un sovrapporsi di pareti, cemento, cavi, asfalto e sabbia si adagia su uno strapiombo bucherellato di finestrelle sghembe. Amman Est, Leggi il seguito di questo post »

Regione del Kurdistan Iracheno nei volti e in volo

In Finestra MEMO on 12 luglio 2017 at 10:47

Da Finestra MEMO, Di Un impiegato in favela

hdr

Syrian, Syrian, ripeteva una voce di bimbo che proveniva proprio da un bimbo, un bimbo dai capelli neri lucidi, pettinati con la riga a destra, con la maglietta strappata su un fianco e segnata da un alone scuro di quelli che non svaniscono con una sciacquata a freddo sull’altro; un bimbo come te, solo che lui cantilenava Syrian, Syrian, sventolando davanti alla pancia di un passante qualsiasi la stampa di una fila di volti in formato tessera, volti schierati come volti di criminali ricercati, volti dei suoi genitori, dei suoi parenti, dei suoi amici scomparsi; nei piedi tutta la strada dalla Siria orientale, dall’altopiano, dal deserto, da al-Raqqa, da Deir-El-Zor, dal sud della Rojava; quanta strada bruciata con un passo trascinato dopo l’altro, quante incertezze, quanta paura, la paura fa eco nella sua cantilena, Syrian, Syrian, dalla ripetitività che sfuma nel vuoto dello sguardo. Quanta strada per giungere ad Erbil, la capitale dell’unica porzione di terra curda riconosciuta ufficialmente da un governo, il governo iracheno; quanta strada, a furia di Syrian, Syrian, ribaltato nel mezzo di un’altra terra ancora, anche questa disseminata di tracce di occupazione violenta, di fori di sparatorie e di schegge di mine anti-uomo.

Mh mh?! Vedi? I curdi, gli iracheni e i siriani passano oggi quello che tuo padre, tuo nonno e tanti dei tuoi amici hanno vissuto in Sierra Leone per più di dieci anni poco prima che tu nascessi. Chi sono i curdi? Leggi il seguito di questo post »