Era estate, eravamo a metà di un lungo viaggio che ci aveva portato in Europa, al confine con l’Europa, alle soglie dell’Europa orientale. Apprendemmo che il Governo stava valutando una nuova legge che avrebbe imposto a chi volesse tornare a casa di denunciare la sua proprietà entro fine anno. Ma la nostra casa era stata distrutta. Non avevamo più nulla da denunciare, non avevamo più un luogo dove tornare, ci rimaneva solo questo: il nostro cammino in queste terre prima di allora sconosciute, in queste terre misteriose, tra questa gente che a tratti sentivamo vicina, prima che dischiudesse sguardi dalle sfumature così lontane da noi; ci rimaneva solo il nostro cammino nella regione balcanica, in questa terra a metà tra l’Europa e l’Oriente. Tutto era così distante da noi, da Homs, da Aleppo, eppure qui trovammo qualcosa di famigliare: i segni delle pallottole sui muri. Doveva esserci stata una guerra come la nostra, qui, in un’epoca precedente ma non remota; la stessa distruzione, gli stessi massacri, le stesse violentissime prepotenze, le fosse, le segrete, il buio. Fin dove arrivano le pallottole? Terminerà mai, il nostro cammino, alla ricerca di un’umanità accogliente, di un nuovo giaciglio, di mura non lacerate? Non sappiamo se e quando terminerà e se troveremo quel luogo dove le pallottole non sono mai arrivate, ma il nostro cammino prosegue in questa calda estate.
Abre a janela na favela!