Il video virale che denuncia i paradossi dei “mega-eventi”, la saga di Lula e una nota personale.

Neymar e Ribery ritratti in versione giocate a calcio non fate la guerra, per le strade di Rocinha #finestrasullafavela
C’è un video che ha fatto effetto virale: una ragazza brasiliana che illustra le ragioni per le quali si dissocia dalla Coppa del Mondo e non intende parteciparvi. Eccole in sintesi.
Per i Mondiali brasiliani sono stati investiti 30 miliardi di dollari: più della somma delle ultime tre edizioni della Coppa (che ammonta a 25 miliardi). Nel frattempo, in Brasile, l’analfabetismo raggiunge il 25%. Il Brasile i trova all’ottantacinquesima posizione nella classifica dell’Indice di Sviluppo Umano (l’indice che valuta le condizioni di vita dei popoli misurando non solo il PIL ma anche la qualità dell’educazione e l’aspettativa di vita). 13 milioni di persone sono così povere da trovarsi a rischio di morte di fame, e molte altre muoiono in attesa di cure mediche.
– Questo Paese, ha bisogno di nuovi stadi? – si chiede la giovane brasiliana indignata del video. E prosegue: – La maggior parte dei guadagni derivanti dalle vendite dei biglietti andrà alla FIFA, e l’indotto dal turismo riempirà principalmente le casse degli sponsor, dei finanziatori, di coloro che hanno già un sacco di soldi. Il tipo che vende il gelato in spiaggia avrà un picco di vendite per un paio di settimane, ma gli cambierà la vita? Non solo. L’UPP entra nelle favelas per cacciare i criminali, ma dove volete che vadano questi criminali, e ammesso che non si facciano vedere per un po’, per quanto tempo credete che questo possa durare? In Brasile questo si dice: “mettere la polvere sotto il tappeto” (anche in Italia, aggiungo io). Infatti, le feste che prolifereranno nel corso degli eventi saranno infarcite di sostanze stupefacenti: da dove credete che vengano? Inoltre, nelle favelas molta gente viene cacciata dalle loro case, senza alcun preavviso, senza una dimora sostitutiva, viene invitata ad accomodarsi in mezzo alla strada per fare spazio agli stadi e alle strutture dei Mondiali. Il museo della cultura dei nativi (Aldeia Maracanã) è stato sgombrato per far posto al museo-esposizione del Comitato Olimpico. Infine, guarda i costi di manutenzione che i nuovi stadi avranno in futuro: milioni e milioni di dollari. Non abbiamo bisogno di stadi, abbiamo bisogno di educazione, alimentazione e salute, che non vuol dire che non faremo più feste. Abbiamo bisogno che la gente possa lavorare in modo sostenibile.
Ecco il video:
Chiude tra lo sconforto e l’esortazione, la front-woman del video, comprensibilmente. Va anche detto che ci sono motivi storici per i quali tutto ciò avviene. Il miglioramento delle condizioni di vita degli ultimi anni deriva proprio dalla politica socialista anti-conformista di Lula, che spesso ha intrapreso iniziative apparentemente a favore degli investitori e a sfavore delle classi sociali più povere, che hanno poi posto le basi per un miglioramento delle condizioni di vita di queste ultime.
Ecco qui una libera riduzione dell’articolo di Perry Anderson che fa la sintesi dei 10 anni di Governo Lula.
La saga di Lula
Lula nel 2004 alzò i tassi di interesse, facendo crescere l’inflazione, ma aumentando il gettito fiscale. L’economia brasiliana si stabilizzò, tranquillizzando gli imprenditori interni e guadagnando la fiducia degli investitori esteri. Nello stesso anno avvenne quello che si definisce un colpo di fortuna: la Cina investì nei prodotti brasiliani di interesse per il mercato cinese: soya e ferro, contribuendo ad aumentare in modo significativo il PIL (dopo anni di stagnazione dell’economia). L’inflazione aumentava e le condizioni di vita per le classi più povere non erano certo migliorate, ma nel 2006, si erano create le condizioni perché Lula tirasse fuori dal cilindro la “Bolsa família”: un contributo alle madri degli strati sociali più poveri che mandassero i propri figli a scuola e a fare controlli sanitari. Un contributo medio di 35 R$ al mese (poco più di 10 €), quindi non molto alto, ma che è stato destinato a 12 milioni di nuclei familiari. Questa è l’iniziativa che ha battezzato Lula come Governatore del popolo. Dopo (2005), ci fu l’aumento del minimo salariale. Gli stipendi restarono sotto la soglia della povertà, ma degli aumenti beneficiarono 18 milioni di persone, pensionati inclusi. Gli aumenti incoraggiarono le banche ad aprire il micro-credito alle classi più povere, in quanto potevano attingere dalla busta paga per recuperare il debito. Così il potere di acquisto aumentò, il mercato interno si espanse, e si vennero a creare nuovi posti di lavoro. La classe più povera si ridusse da 50 a 30 milioni di persone in cinque anni, e furono possibili investimenti in programmi sociali che, per esempio, raddoppiarono il numero di studenti universitari (anche se questi, aggiungo io, restano esclusivamente giovani esponenti del ceto medio). La scuola pubblica cedette alla privata, che poté avvalersi di esenzione dalle tasse. La crescita continuò, i consumi anche, e la produzione di conseguenza, e le banche aiutavano a tenere incollato il sistema. Alla fine del secondo mandato (fine 2010), anche la natura sorrise a Lula: nei mari di Rio de Janeiro furono trovati nuovi giacimenti di petrolio.
Tutto è cominciato da quell’aumento dei tassi di interesse che all’inizio parve destabilizzare ulteriormente la popolazione disagiata.
Invito a leggere l’articolo integrale, perché oltre a quanto qui maldestramente riassunto, vengono presentate interessanti e diversificate interpretazioni del Lulismo, viene descritto il suo “lato oscuro” e ne viene tracciata la decadenza culturale, che si accompagna alla decadenza culturale di tutto il Paese. Si racconta inoltre la politica estera (per esempio, il rapporto paternale e ammortizzante sul Venezuela, il sostegno al Mercosur, l’invito a Brasilia ad Ahmadinejad, il riconoscimento della Palestina come Stato, decisioni che rappresentano l’indipendenza diplomatica del Brasile nei confronti degli Stati Uniti), e della continuità con il Governo di Dilma Rousseff, e di come in Brasile, nonostante gli sviluppi degli ultimi decenni, permanga la tragedia di una classe così povera da far ritenere senza destare scandalo che la schiavitù in Brasile non sia mai stata abolita di fatto.
No, non andrò alla Coppa del Mondo
L’articolo è molto interessante, ma qui dalla finestra ci si ferma, perché l’intenzione era di mostrare che non è scontato che l’investimento nei mega-eventi debba portare necessariamente a un nuovo aumento del tragico divario sociale brasiliano come si evoca nel video virale della ragazza che non andrà ai Mondiali, così come non è scontato il contrario. Certo è che il popolo brasiliano non manifestava da almeno vent’anni (e l’ultimo a farlo era stato proprio il movimento guidato da Lula), e se è tornato in strada, forse è perché ha sentito che quel contraddittorio equilibrio dei Governi Lula si è rotto. Dobbiamo dunque aspettarci nuove manifestazioni, durante i Mondiali, e possiamo solo sperare che, anche a fronte delle violenze ad opera della polizia militare, prevalga lo spirito pacifico del popolo brasiliano sulle reazioni delle minoranze violente di quei gruppi internazionali quali Anonymous e Black Bloc, che già nelle precedenti occasioni hanno prodotto vandalismo e contribuito con le loro azioni a delegittimare le manifestazioni.
Per quanto mi riguarda, personalmente, no, io ai Mondiali non andrò, infatti ho un aereo diretto a casa il 12 giugno, che è il giorno di inaugurazione dei Mondiali. È stata una coincidenza che questa seconda fase della mia esperienza di vita e professionale nella favela Rocinha finisse proprio quel giorno, ma tant’è, ho preferito che così fosse. E la partita sì che la guarderò, ma in televisione a casa di un amico, e forse -lo annuncio caso mai possa interessare a qualcuno – tiferò Uruguay ancor più che Brasile e Italia, perché quanto meno ha avuto il merito, pochi mesi fa, di promuovere la legalizzazione della marijuana e delle cosiddette droghe leggere. Se l’esempio di Pepe Mujica fosse seguito anche in Italia e in Brasile, come ovunque, si risparmierebbero molte vite e sofferenze, a partire da quelle dei pinocchietti armati e dei giovani rambo che, sparando, si inseguono a vicenda per i vicoli di favela; e mentre le partite si svolgeranno, io a loro penserò.
Bella ma purtroppo triste analisi della situazione nel Brasile di oggi. Io ero li’ circa un anno fa e vedo che nulla e’ cambiato, anzi mi sembra peggio di prima. Ho visto le dimostrazioni per difendere la Aldeia Maracana, ho una amica di Manaus di origini indios che spesso partecipava. Sinceramente pensavo che almeno quel piccolo edificio sarebbero riusciti a salvarlo, in fondo gia’ nel 1950 persero la casa in favore dello stadio. Oggi perdono anche l’ultimo simbolo della loro presenza.
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