Guardo tutto dall’alto, dalla mia finestra, una delle migliaia finestre che danno sulla favela, e non mi intrometto. Invece nel palazzo di fronte, dall’altra parte della strada, se ne sta affacciato un viso magro e nero come il mio che si distingue dalla notte per il grigio della testa canuta, il rosso degli occhi gonfi di alcol e il giallo dei denti consumati. Mi pare di guardarmi allo specchio. Non avevo mai visto quel signore prima. Chissà che storia ha, avremo forse condiviso il viaggio dal Ceará, cinquant’anni fa. Anche quel signore ha seguito la scena che un bimbo e un gringo hanno interpretato in un vicolo deserto, però lui, con le braccia appoggiate al davanzale e il petto dalla pelle stanca, invita il gringo a mettersi tranquillo e a lasciar andare, lascia andare, gringo, e gli sussurra con voce sospirata e rauca: Leggi il seguito di questo post »