un impiegato in favela

Zero: born again, home again

In Finestra su Longacres on 31 ottobre 2018 at 18:13

Da Finestra su Longacres, Di A.

“They say home is a place where you’re needed
Then I am home now, but I am leaving
To feel my feet being kissed by the seaweed
And I will be silent and kiss it back”

(Moddi, House by the sea, Set the house on fire)

Dedicato to my sweet cherry pie Marcelino, Mr. Andrew che mi ha trattata come una figlia e Mpoli che ha diviso la sua zucca con me.

ULTIMO ATTO

Zero Boom again Ultimo Finestra su Longacres Zambia

MONOLOGO NUMERO OTTO

Mi chiamo Alessia, anche se alle volte rispondo al nome di Robertino, da giugno lavoro al sedicesimo piano di un grattacielo grigioblu, vorrei trecentosessantacinque giorni di autunno ogni anno e mi manca il sapore della chikanda che riempie la bocca di gioia.

Deve esserci un meccanismo di difesa che permette agli esseri umani di filtrare e rimuovere le brutte esperienze, che ci consente di dimenticare per poi costruire i ricordi che scaldano il vento freddo di un mercoledì di ottobre a Milano. La rimozione, appunto, perché dello Zambia non posso far altro che sentire il bene che mi ha fatto, il solco che mi ha lasciato nel torace: nessuna traccia dei miei occhi rossi di sangue, niente più rabbia per quella rapina che mi ha tolto serenità e sonno, nessuna paura della polizia che non mi ha protetta e da cui ho sentito l’urgenza di proteggermi, è rimasto solo un fortissimo calore che irrora il mio corpo e la mia mente. E allora mi capita di sorridere scorgendo le donne africane che popolano chiassosamente le carrozze dei treni nella tratta ferroviaria da Porta Genova a Mortara, di incantarmi a guardare la gente incuriosita dall’okra al reparto verdura dell’Esselunga o di sospirare quando sedendomi sul divano trovo il chitenge made in Kabwata e mi sento improvvisamente a casa. Lo Zambia mi ha regalato una vita nuova fatta di scale cromatiche del verde, di canzoni allegre e di dubbio gusto – money fall on you| banana fall on you| Prada fall on you oh| ‘cause I’m in love with you – di “me” al posto di “I” all’inizio della frase, di brividi che dalle scapole scendono fino ai lombi quando un frammento della vita in carcere riaffiora tra i miei pensieri, di gratitudine per essere qui ed adesso, nella comodità di un appartamento a Ponte Lambro.

Lo Zambia mi ha svuotata di ogni energia, di ogni speranza nei confronti di un genere umano in balìa di qualche Dio che rincarna la miseria del nostro tempo, di ogni tempo, per poi rigenerarmi e rimettermi al mondo. Perché è questo che mi ha insegnato Lusaka: c’è un Dio dei popoli creato a nostra immagine e somiglianza, per rappresentarne virtù e miserie a prefigurazione della sua fine, del sacrificio. Il sacrificio estremo è quanto ci viene chiesto per sopravvivere in una sfera di materia tra spazio e tempo governati dalla sorte. Siamo venuti ad esistere per offrire il nostro corpo in suo nome, come gli agnelli che lavano dal peccato originale, diamo vita al Creatore per conferire un senso profondo alle nostre giornate.

Alcuni angoli remoti di quella sfera, pochissimi e tutti ravvicinati tra di loro, sono oasi di prosperità il cui benessere ci porta a credere che se siamo nati qui ed adesso deve esserci una ragione, un merito che possiamo vantare, ingannandoci. È tutto frutto del caso, di una fortuna cieca che distribuisce felicità, acqua corrente e cioccolato al latte che si scioglie in bocca. Altri angoli, la maggior parte della geografia terrestre, sono invece dominati da un altro caso suo alterego: una sfortuna cieca che distribuisce dolore, pandemie e fame. Alcuni abitanti di queste lande remote provano a sovvertire la sorte, la legge del caos, e a ribaltare l’alea gettata sulle loro esistenze come salmoni che risalgono la corrente, partendo alla volta di una destinazione piccola piccola e lontana lontana. Alle volte riescono a raggiungere la florida meta delle opportunità, altre volte falliscono davanti all’ostinazione di quei fortunati che si fanno depositari dell’essenza immutabile dei luoghi che abitano e che delimitano con barriere invalicabili i confini del fato. La follia di credersi guardiani di una civiltà eterna ed inalterabile si scontra con la mutevolezza di madre terra che periodicamente sbaraglia il senso delle nostre vite con la brutalità del suo moto, cambiandoci, proprio come fossimo abitanti dell’altro emisfero, come se finalmente fossimo nati tutti uguali, tutti offerti in sacrificio alla stessa forza centripeta.

Basta un attimo, un solo istante, e la vita ci sfugge di mano: lo Zambia mi ha insegnato a stare al mondo in tutto il mondo, liberandomi dall’illusione di avere il controllo sulla terra che calpesto. Il sapore di chikanda sulla punta della mia lingua, tra naso e gola, mi ricorda che ho una casa a sud del sud del mondo.

Mi chiamo Alessia, sono rinata a Lusaka e vivo a Milano.

 

Finestra su cosa?

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: