un impiegato in favela

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Trentuno: l’ultimo viaggio, il primo viaggio

In Finestra su Longacres on 26 luglio 2018 at 13:34

Da Finestra su Longacres, Di A.

L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti.
[Hannah Arendt, Tra passato e futuro]

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Cammino fiera per strada pensando ai mesi trascorsi in un angolo di mondo che si è mostrato in tutta la sua sfacciata onestà. Insieme a me il piccolo Elijah, figlio di Chichi e fratello di Womba, che mi tiene la mano e dice che verrà a trovarmi, che anche lui vuole vivere in un posto in cui è obbligato ad andare a scuola. Gli sorrido e penso che raramente mi sono trovata davanti un bambino così intraprendente, fin troppo temerario, e che meriterebbe le stesse possibilità che ho avuto io all’età di sette anni. So che non potrà avercele perché la legge del caos ha voluto che le mie viscere prendessero forma in Europa mentre la stessa combinazione australe ha fatto sì che le sue si materializzassero nel sud dell’Africa. Il caso ha deciso che io nascessi con i cromosomi XX, di razza caucasica nella culla della civiltà bagnata dal Mediterraneo e sempre il caso ha deciso che Elijah nascesse con i cromosomi XY, di razza africana in un piccolo compound di Lusaka tra la fame e l’ingegno applicato all’autoconservazione. Mi fa tenerezza guardarlo mentre impugna la matita per disegnare un cuoricino sulla destinazione del nostro viaggio insieme, non sa cosa c’è scritto, ma sa che è là che passeremo gli ultimi giorni di esistenza condivisa. La sua bocca si è stretta nelle labbra assottigliate da un’espressione imbronciata, c’è qualcosa che non capisce: perché io posso venire a Lusaka quando voglio e lui non può trasferirsi a Milano dove si mangia sempre la pizza? Gli spiego che la pizza si mangia sempre a Napoli, ma che in effetti anche a Milano non c’è un regolamento che lo vieti. Della deprimente vicenda dei carboidrati gli dirò un’altra volta sperando di esser smentita dalla scienza nel frattempo, oggi mi tocca già raccontargli dei confini e delle leggi sull’immigrazione. Dopo venti minuti di spiegazioni su visti di lavoro e permessi di soggiorno, la sua manina si avvicina alla mia fronte, bussa alla mia testa e mi domanda:

– “E perché? Perché servono tutti questi documenti? Non puoi spiegar loro che vivere a Bauleni è molto difficile?”.

Non è lui ad essere confuso, la sua questione è lineare, ma non ho spiegazioni che possano soddisfare i perché legittimi che continuerà ad oppormi. Il viaggio in pullman si fa ancora più difficile quando lo vedo cercare sulla mappa lo stato a forma di stivale, ma quella è una cartina geografica dell’Africa ed è a quel punto che arriva la richiesta che più temo.

– “Bwana [capo in lingua nyanja], ma come si arriva in Italia? Se io cammino per tutta l’Africa arrivo da te?”

Ci penso qualche istante prima di rispondere, Leggi il seguito di questo post »

Un fiume di auguri (CON VIDEO)

In Finestra su Longacres on 30 dicembre 2017 at 12:38

Da Finestra su Longacres, Di A.

Vorrei lasciare ogni cosa che conosco ed immergermi in una terra vastissima dalle verdi chiome rotonde, interrotta dai campi di banane e caffè dove una contadina piega la schiena mentre una bimba le ronza attorno.
Vorrei leggere i pensieri scritti su un volto Leggi il seguito di questo post »