Da Finestra su Longacres, Di A.
Vorrei lasciare ogni cosa che conosco ed immergermi in una terra vastissima dalle verdi chiome rotonde, interrotta dai campi di banane e caffè dove una contadina piega la schiena mentre una bimba le ronza attorno.
Vorrei leggere i pensieri scritti su un volto nero di un’adolescente, che, all’ombra di una cesta di mais, si perde con lo sguardo tra paura, curiosità e speranza dopo aver inaspettatamente incrociato un volto bianco, così raro in questi luoghi remoti, e nel perdersi si dimentica di offrire il suo mais.
Vorrei affacciarmi ad una finestra e lasciarmi scivolare in una cascata di sudore, di odori forti, di alcol per onorare il Signore e Lucifero a contempo; una cascata di vita che nello Zambesi ha origine e in esso finisce. Vorrei affacciarmi ad una finestra e avere paura, paura di chi mi tira, di chi mi fissa molesto perché sono donna, di chi cammina a bordo strada, sotto la pioggia scrosciante, rassegnato, sul filo della morte; vorrei affacciarmi e non avere paura di sapere da dove vengo, vorrei essere parte di questo cielo, di questo fiume, di questa di umanità, tra le braccia di Yemanja.
BUON 2018 da Finestra sulla favela.