Da Finestra sulla Nigeria (del nord), di Un impiegato in favela

Vado vai, vado che almeno per un po’ fa bene dimenticarsi, dimenticare se stessi; lasciare indietro i passi avanti, gli obiettivi, i termosifoni, il canone rai, la neve e gli sci; lasciare a casa gli occhiali da sole, i balli, l’aperitivo, le vacanze d’agosto, la maratona metropolitana, la primavera, il libro in più, la doccia calda, la chitarra, il corso di cucina e quello di teatro, l’ultimo postumo di David Bowie, dimenticare tutto questo per ricordarsi. Ricordare se stessi, che veniamo dalla terra, abitiamo nella foresta, tra due pareti di lamiera, di fango o di ghiaccio, che siamo bambini che sorridono a tutto e tirano i capelli (lo fanno ovunque); ritrovare il colore della pelle, la capacità di aspettare, la pazienza di non fare altro che vivere, solo vivere, restare liberi e disoccupati, ricordare la necessità di fuggire, di sfuggire a un pericolo, di salutare, di stringere una mano, di saper dire una parola gentile, dirla non solo per cortesia ma anche per trarne un vantaggio (è così che si sopravvive): ricordarsi che siamo umani e abbiamo secondi fini, che abbiamo quelli e nient’altro, ricordarsi di non avere nulla e che per questo dobbiamo lottare per ottenere qualcosa ogni singola giornata di cui riusciamo a vedere il tramonto; ricordarsi di essere, di essere qualcosa o qualcuno su questo pianeta, in questo stato, in questo momento storico, ovunque e sempre.
Sono convinto che sia del tutto comprensibile che tu ti senta più coinvolto emotivamente per un evento terribile, Leggi il seguito di questo post »



