Riedizione da Finestra sulla favela (Rocinha), di Un impiegato in favela
Il 4 luglio di tre anni fa condividevo con qualche amico il primo racconto della Finestra sulla favela. Allora la Finestra si affacciava sulla favela quella vera, la Rocinha di Rio de Janeiro; ma favela è ogni luogo di bellezza e di grande umanità vittima di violenza e di emarginazione causata da pregiudizio. Così, nei tre anni successivi la Finestra si è affacciata anche sul Ponte Lambro, sulla Sierra Leone ai tempi dell’ebola peggiore, e ancora sulla Sierra Leone; e più di recente sull’area rurale della Sierra Leone, per il contributo di Un ricercatore in favela. Da allora, Per più di 60.000 volte qualcuno si è affacciato alla Finestra sulla favela, per più di 60.000 volte la favela ha sorvolato i muri che la stringono ed ha viaggiato in più di 60 Paesi del mondo.
In occasione del compleanno della Finestra sulla favela, ecco la riedizione del primo racconto (era scritto proprio male, ancora peggio di adesso; ma anche per questo, forse, di tanto in tanto, si deve provare a fare ciò che si desidera, per concedersi di migliorare strada facendo).
Chi mi fa gli auguri di compleanno?
Agli arrivi dell’Antonio Carlos Jobim trovo ad accogliermi Barbara e Julio. Con loro c’è Toca, l’autista, uomo dalla pelle dura e scura, che da più di dieci anni accompagna avanti e indietro dall’aeroporto alla favela volontari, collaboratori e amici de Il Sorriso dei miei Bimbi, l’associazione alla quale dedicherò il mio impegno professionale nei prossimi mesi. Carichiamo i bagagli. Le mie valige contengono poche magliette per me e più di sessanta chili di giocattoli per la festa di Natale della scuola materna Saci Sabe Tudo. Montiamo sul mezzo di Toca, uno scatolone di plastica e alluminio stile anni ’70. Un tempo Toca lo utilizzava come van, mezzo di trasporto pubblico abusivo e tollerato, abusivo e tollerato proprio come la favela; ma i nuovi van hanno superato quello di Toca, e lui oggi è al servizio di pochi amici. Gira la chiave, il motore sussulta, tossisce e tace. Julio trattiene a stento una risata. Prima che possa rendermi conto di che cosa stia succedendo, salta giù e il furgoncino prende a procedere lentamente. Scendiamo a spingere anche io e Barbara. Dopo una lotta appassionata e corporea che mi ha fatto sentire sulla pelle la semplicità di un motore d’altri tempi, riusciamo ad avviarlo e il viaggio comincia.
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