Finestra su San Vittore 3 di 4
Ai piani superiori del V e del VI braccio la situazione di sovraffollamento è peggiore che al reparto infermeria: vivere in sole tre persone in una cella di sette metri quadri a San Vittore, il primo maggio 2011, è un lusso riservato a chi presenta problemi di salute seri. Ai piani superiori del V e del VI braccio celle delle stesse dimensioni contengono fino a sei persone; quelle un po’ più grandi – diciamo di quindici metri quadri – ne contengono fino a nove.
Da una di queste celle un detenuto mi richiama. Mi avvicino, mi chiede di passargli attraverso le sbarre il taccuino e la penna, glieli cedo, li afferra come un assetato un bicchiere d’acqua, scrive con le mani tremanti per l’emozione, solleva il viso dal foglio e mi fissa: “ho vent’anni, è la prima volta che entro in carcere”, balbetta con gli occhi tormentati, attraversa le sbarre con la mano per stringermi il braccio, mentre mi restituisce il taccuino e la penna, “qui sono tutti grandi, tutta gente che ha commesso reati gravi, c’è gente che ha ucciso, ho paura, aiutatemi”.
Anis, vent’anni, cella 50, leggo sul taccuino. Prende a respirare più regolarmente, gli occhi prima opachi gli si accendono; respira, mi racconta di aver più volte fatto domanda di trasferimento, come è suo diritto, in un dipartimento adeguato, per detenuti della sua età. Aspetta una risposta e vive in mezzo a vecchi assassini e a vecchi innocenti.