Il nido d’aquila, dove vivo, si trova sulla cima di una scala alta e ripida che si inerpica su una parete di roccia con gradini irregolari. Risalendo, sulla destra c’è la estrada da Gávea, con il suo traffico caotico, gli autobus che si incastrano l’uno nell’altro, e i moto-taxi che fanno slalom tra gli autobus, le auto, i bimbi e altri passanti; sulla sinistra ci sono gli usci di altre abitazioni: i miei vicini di casa. C’è una signora che si vede raramente, perché fare le scale non è facile. C’è un balconcino che fa da anticamera ad una casa dove abitano due famiglie con tre bimbi in totale; dopo il balconcino c’è un angolo nel quale è incastrata una porta che si affaccia ad una abitazione che deve essere molto piccola. Qui ci sta un numero indefinito di persone: sicuramente due colombiani, e una ragazza giovane, Andreia, che avrà diciotto anni al massimo, e suo figlio, che se ne sta ancora comodo nell’addome della mamma; ma di tanto in tanto compare qualche altro personaggio. Sopra all’angolo dei colombiani e di Andreia e di chissà chi altro, c’è un altro balconcino, dove vivono due cani; la casa dei loro padroni, una coppia e altri bambini, e una nonna, o bisnonna, che viene a trovarli tutte le domeniche, scalando la collina con una sovrumana pazienza, sta tra il balconcino e uno dei muri che chiudono il nido d’aquila.
– Possiamo mettere sul terrazzo la piscina per le creature, domenica?
– No, piscine, churrasco e feste non si può. I bimbi possono venire qui ad imparare ad andare in bicicletta.
– E a far volare gli aquiloni?
– No, gli aquiloni… va bene, gli aquiloni sì, ma solo i bambini; quelli alti meno di un metro e ottanta, per favore.
I vicini del nido d’aquila sono come rampicanti: se ti limiti a guardarli inerme, centimetro dopo centimetro, inesorabilmente, abbracceranno ogni cosa che troveranno sul loro cammino; è una lotta quotidiana, restare proprietario di casa tua, del tuo spazio, e guadagnarti il rispetto, in un luogo dove ogni centimetro è prezioso e per tanti anni niente è stato di nessuno e tutto di tutti. In epoca recente, poi, si sta progressivamente perdendo il senso di rispetto che si era radicato in favela nel periodo dell’autarchia assoluta. Costruito da contadini analfabeti, era, come continua ad essere dove resiste, nei vicoli più profondi della Rocinha, la realizzazione del pensiero di Voltaire “la libertà di ognuno finisce dove comincia quella dell’altro”. Oggi, per esempio, se ti allontani per una decina di giorni, per una vacanza a Bahia, può darsi che quando torni, sul retro del nido d’aquila, lungo il corridoio di roccia, compaia un divano, e nessuno sa chi ce l’abbia portato e da dove sia arrivato. Può essere arrivato dall’alto, dal basso, o da qualsiasi altra direzione.
N.d.A. Da questo racconto in poi saranno più frequenti le storie di quotidianità del nido d’aquila. Per seguire queste in particolare, si può fare click sulla categoria “Vita da favelado: il nido d’aquila”.
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[…] Ci sarà ancora da lottare, per difendere il proprio spazio da bimbi e da adulti, come fanno tutti e da sempre, qui in Rocinha. Ora i bimbi stanno là fuori a gridare (di gioia, questa volta), e a giocare, e non oso immaginare che cosa troverò là fuori domani, sul terrazzo del nido d’aquila, ma va bene così, ché la vita comincia al mattino e finisce la sera, ed è una maledetta battaglia quotidiana. Ah, per chi si chieda che cosa ci faccia quel divano porpora là, alla destra dei tre bimbi… be’, è un’altra storia: questa. […]
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[…] bisogna mai lasciarsi sfuggire nulla quando vivi in un nido d’aquila di favela. All’improvviso, puoi ritrovarti un divano sul terrazzo, ok, va bene, è della vicina che te l’ha lasciato senza […]
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