Da Finestra su Longacres, Di A.
La terra è sconfinata, il cielo pure; l’una a cospetto dell’altro, scorrono ciascuno al suo ritmo, non si vedono e ignorano le cose umane.
Ecco la nuvola numero quattro (di dieci): Leggi il seguito di questo post »
Da Finestra su Longacres, Di A.
La terra è sconfinata, il cielo pure; l’una a cospetto dell’altro, scorrono ciascuno al suo ritmo, non si vedono e ignorano le cose umane.
Ecco la nuvola numero quattro (di dieci): Leggi il seguito di questo post »
Da Finestra su Longacres, Di A.
“How are you?”
Gli zambiani salutano così, chiedondoti come stai, anche se non ti hanno mai vista prima. E tu gli rispondi sempre “fine, thanks, and you?”, anche se non capiterà più di incrociarsi, anche se non è vero che stai bene. È un modo tutto africano di manifestare rispetto e considerazione verso il prossimo: l’incontro di pochi secondi per stabilire un contatto umano.
Ciao amico, sarà bello rivederti.
Ecco la nuvola numero tre (di dieci): Leggi il seguito di questo post »
Da Finestra su Longacres, Di A.
La nuvola di oggi ci porta al Bongwe, un localino in cui espatriati e zambiani condividono il buio insieme tra musica, birra, amarula, biliardo e feste. Settimana dopo settimana rimane la porta d’ingresso sulla lunga notte di Lusaka. Leggi il seguito di questo post »
Da Finestra su Longacres, Di A.
Ci diamo l’arrivederci così. Da oggi, per dieci giorni, alcuni frammenti della Finestra su #Longacres ci accompagneranno lungo l’autunno uggioso. Ecco la prima nuvola, siamo sulla strada che da Lusaka porta a Mongu ed è proprio il cielo a toglierci il fiato. Leggi il seguito di questo post »
Da Finestra su Longacres, Di A.
“They say home is a place where you’re needed
Then I am home now, but I am leaving
To feel my feet being kissed by the seaweed
And I will be silent and kiss it back”
(Moddi, House by the sea, Set the house on fire)
Dedicato to my sweet cherry pie Marcelino, Mr. Andrew che mi ha trattata come una figlia e Mpoli che ha diviso la sua zucca con me.
ULTIMO ATTO
MONOLOGO NUMERO OTTO
Mi chiamo Alessia, anche se alle volte rispondo al nome di Robertino, da giugno lavoro al sedicesimo piano di un grattacielo grigioblu, vorrei trecentosessantacinque giorni di autunno ogni anno e mi manca il sapore della chikanda che riempie la bocca di gioia.
Deve esserci un meccanismo di difesa che permette agli esseri umani di filtrare e rimuovere le brutte esperienze, che ci consente di dimenticare per poi costruire i ricordi che scaldano il vento freddo di un mercoledì di ottobre a Milano. La rimozione, appunto, perché dello Zambia non posso far altro che sentire il bene che mi ha fatto, il solco che mi ha lasciato nel torace: nessuna traccia dei miei occhi rossi di sangue, niente più rabbia per quella rapina che mi ha tolto serenità e sonno, nessuna paura della polizia che non mi ha protetta e da cui ho sentito l’urgenza di proteggermi, è rimasto solo un fortissimo calore che irrora il mio corpo e la mia mente. E allora mi capita di sorridere scorgendo le Leggi il seguito di questo post »