Lontano, sempre più lontano, lontano, e le abitazioni e le baracche e i palazzi coloniali si fondono sulla superficie di una terra frastagliata. Poco prima, sulla spiaggia di Aberdeen, una folla di bimbi e di uomini si accalcava a riva, dove le onde danno senso compiuto al loro cammino infrangendosi sulla sabbia; la gente infilava le braccia nel mare e da questo estraeva pesci. Un bimbo correva felice aggrappato al suo pesce dall’enorme corpo arrotondato e sottile, dalla coda biforcuta che gli solleticava il naso rotondo, dagli occhi opachi e dalla bocca sanguinante che ciondolava a pochi centimetri dai suoi scattanti piedi nudi. Un bimbo correva felice insieme al suo pesce, grande come lui, verso la sua comunità, verso la sua abitazione, e così facevano decine e decine di altri bimbi e adulti, gelosi della loro preziosa conquista. Oggi si fa festa, non solo perché si dice che da qualche giorno l’ebola stia calando ma anche perché un branco di pesci ha commesso l’errore di avvicinarsi alla spiaggia, ed è stato intercettato da chi di questo vive, della pesca.
Sempre più lontani i pescatori, le abitazioni, le baracche e i palazzi coloniali; ciascuno di essi si confonde con gli alberi, con le palme, e contribuisce a macchiare il frastagliato territorio di colori innaturali: tasselli rossi, viola, grigi e gialli a costituire un mosaico di umanità immerso nella foresta tropicale sempre più rada.
Sempre più lontano, il battello mi sta portando lontano, verso casa, e da lontano si perdono i dettagli, e le storie di umanità sfumano; resta un mosaico, poi un Paese dell’Africa Occidentale, infine un Continente su una mappa geografica.
Ma il mare è putrido di rifiuti e il battello si ferma. Il motore all’improvviso interrompe il suo ronzio. – Sirs, Madams, non c’è da preoccuparsi: un sacco di plastica si è incastrato tra le eliche, succede sempre. Rimuoveremo la spazzatura e ripartiremo. Solo un attimo di pazienza.
Il personale dell’imbarcazione lavora mentre il battello si lascia cullare dalle onde muto. In fondo al mare, sulle colline, tornano vivi i dettagli della metropoli, i colori si fanno più nitidi, i contorni degli edifici più chiari. C’è ancora l’ebola là dentro? Sta svanendo o sta tornando a causa di quel pescatore che è arrivato due giorni fa e che pare abbia navigato avanti e indietro con tutti i sintomi prima di giungere in ospedale? No, siamo giunti verso la fine e bisogna mantenere la freddezza di sempre: ci sono centinaia di posti letto pronti, e l’isolamento è assicurato entro poche ore. Sfortunati, i pescatori che hanno condiviso ore di barca con quell’uomo, ma è tutto sotto controllo: saranno isolati. L’ebola sta per finire. Ci saranno ancora vittime, tutti i giorni, ma saranno sempre meno, e un giorno le statistiche ufficiali proclameranno zero nuovi casi, e qualche giorno dopo ci saranno davvero zero nuovi casi. Ma che cosa sarà della Sierra Leone quando l’ebola si sarà ritirata una volta di più? Che cosa resta della Sierra Leone?
Resta un popolo dolce che prega un solo Dio; cristiani che condividono la moschea nella preghiera del venerdì e mussulmani che condividono la messa della domenica: insieme in un solo ballo e in un solo canto. Resta la pesca, restano le palme, i baobab e le aquile. Resta un bimbo che corre felice con un pesce più grande di lui tra le braccia; il bimbo attraversa la strada asfaltata, si lancia lungo una scoscesa strada sterrata, imbocca uno dei sentieri in penombra tra le palme e le mangrovie, continua la sua corsa attraversando il villaggio, entra in una casa senza porte; entra e appoggia il pesce sul tavolo di legno, sul quale trova una bottiglia di plastica. Ha sete, l’afferra e ingolla una sorsata. Lo travolge un bruciore forte, il dolore più forte mai provato, tra i denti, in gola e nello stomaco. La sua vita cambierà per sempre. Se sopravvivrà, la sua vita cambierà per sempre.
Sono andato a conoscere Lookman la mattina dopo che Sara mi ha raccontato la sua storia. Era arrivato in ospedale dopo una lunga assenza imposta dai posti di blocco dell’ebola. I suoi occhi grandi si sono incrociati con i miei da lontano.
– Lookman, sabi him? Lo conosci questo ragazzo, Lookman? No eh? È nuovo?
Gli occhi sorpresi ed emozionati per l’incontro si sono illuminati. Lookman, dopo aver trovato l’approvazione della mamma, ha alzato il braccio e poi la mano e il dito al cielo, e, dopo aver raggiunto il punto più alto, ha lasciato cadere con dolcezza il dito, e poi la mano e poi il braccio, in un elegante accenno di inchino. I suoi occhi sempre più vivi mi hanno confessato che era felice di incontrarmi e che aveva molta voglia di giocare con me. I suoi occhi grandi e luminosi non si scollavano dai miei, il suo viso ha preso ad annuire, abbassando e alzando e abbassando il mento e la fronte con gesti chiari, veloci ed eleganti. Il mio viso ha continuato a seguire il suo in una danza vissuta istante dopo istante. Lookman ha ripetuto il suo gesto di approvazione ed io ho continuato a seguirlo, e continuo a seguirlo adesso che quel sacco di immondizia è stato rimosso dall’elica, e il battello ha proseguito il suo cammino verso l’aeroporto, dove ho aspettato che il solo volo della giornata mi riportasse a casa.
“Lookman ha 5 anni e due anni fa ha ingerito per errore della soda caustica. Purtroppo il suo era un caso molto difficile: la soda che aveva ingerito era semi-solida e gli ha provocato cicatrici talmente grandi che ora ha la bocca totalmente sigillata. Non riesce ad aprirla nemmeno un po’, il che ovviamente gli impedisce di mangiare, bere, parlare. L’anno scorso è quasi morto per un ascesso dentale: non c’era modo di aprirgli la bocca per estrarre il dente. Si nutre attraverso la gastrostomia che gli abbiamo fatto e torna da noi ogni mese per cambiare il tubo e fare le visite di controllo.
Ma negli ultimi mesi, in Sierra Leone, a causa dell’Ebola, gli spostamenti sono diventati molto difficili e molti distretti sono stati chiusi per fermare la diffusione del virus. Tra questi, quello in cui vive Lookman. L’ultima volta che lo avevo visto era l’8 di agosto, per mesi non è venuto in ospedale e ho veramente pensato fosse morto. Sapevo che la sua vita è appesa a quel tubo nella pancia, che se si rompe o si sfila va immediatamente sostituito. Temevo non ce l’avesse fatta, per la fame o a causa dell’Ebola.
Poi una mattina, qualche settimana fa, sono arrivata in ospedale e lui era lì, bello come il sole. Appena mi ha vista mi è corso incontro… è stato davvero un momento splendido.
Il padre è stato bravissimo, lo ha nutrito durante tutti questi mesi e Lookman era in discrete condizioni generali.
Ancora una volta ho capito perché vale la pena di restare qui a faticare e a combattere… motivi come il sorriso di questo piccolo grande uomo che ho aspettato per mesi e che credevo di non rivedere mai più. Lookman is back”.
— Sara, coordinatrice medica del Centro chirurgico e pediatrico di EMERGENCY a Goderich.
Qualche anno fa, al termine di una violentissima guerra civile, la Sierra Leone è stata colpita da un’epidemia di colera. È stata montata una campagna internazionale di solidarietà perché la gente potesse avere il sapone e potesse fabbricarlo da sé, ed è così che su molti tavoli di molte abitazioni sierraleonesi è giunta la soda caustica. Capitava qualcosa di simile anche in Italia fino agli anni sessanta, per esempio con la candeggina, e forse capita ancora adesso. In Sierra Leone è la soda caustica che continua sistematicamente a sigillare la bocca, la gola e lo stomaco di molti bimbi.
Mi chiamo Marco, laureato in ingegneria, per più di dieci anni sono stato project manager nel campo dei sistemi informatici aziendali; dopo una buona carriera, ho lasciato questo tipo di lavoro – da impiegato su questioni che non mi appassionavano (ad es. servizi televisivi quando a casa manco c’ho la televisione), a tempo indeterminato, per scopi ultimi di profitto, peraltro di qualcun altro, – e ho provato a modellare la mia vita in modo che assomigliasse a ciò che sento di essere nel profondo, così ho vissuto e lavorato per circa due anni in una favela di Rio de Janeiro, e poi mi è capitato di partire per la Sierra Leone a dare il mio contributo nella lotta contro l’ebola.
Come stai? Dove vai? Come va adesso, dopo il Brasile e dopo la Sierra Leone? La tua vita ti assomiglia di più? Sei cambiato? Stai meglio? Che cosa ti è rimasto?
Il blu di metilene. Il blu di metilene è rimasto. Sarebbe sufficiente che la soda caustica venisse prodotta e distribuita in combinazione a questo colorante per rendere una bottiglia immediatamente riconoscibile ai bimbi e agli adulti che tornano a casa dopo una corsa dal mare con un pesce tra le braccia: la bottiglia bianca si beve, quella blu no. Come sto? Dove vado? La mia vita mi assomiglia di più? In questo momento queste domande non contano. Conta Lookman e la sua vita, e mille vite come la sua, e, per quanto mi riguarda, adesso come adesso, essere Finestra è la mia unica aspirazione.
Questo è l’ultimo racconto per la terza volta. Per chi lo desideri, ecco le altre due ultima volte: la saidera e l’expulsaidera. Si conclude così (per il momento) la Finestra sulla Sierra Leone, una storia cominciata così: Come stai? Dove vai? Una storia che ha incrociato gente importante, quali Mr. Mohammed, Lauretta e Momoh, e decine di altri splendidi esseri umani come loro. Con un inchino e infiniti ringraziamenti, ai compagni di viaggio e a tutti gli amici che sono rimasti affacciati alla Finestra. Un abbraccio dagli untori. Alla prossima!