un impiegato in favela

La signora Antonia (meno cinque)

In Finestra sulla favela Rocinha, Il popolo di Rocinha on 7 giugno 2014 at 18:38

La signora Antonia

Come sono arrivata in Rocinha, gringo? Quanti anni sono passati… almeno ventiquattro, no venticinque, sì venticinque. È una storia triste, non balliamo stasera? A me piace raccontarla, ma forse finirei per annoiarti… Vuoi proprio conoscere la mia storia? E va bene… Un po’ mi vergogno, ma la verità è che sono in Rocinha per amore. Sono del Ceará e sono arrivata in Rocinha per fuggire da un uomo. Sono felice di essere arrivata in Rocinha, anche perché ho sempre amato ballare e qui ho potuto farlo per  la Rocinha al Sambodromo, proprio per il Carnevale di Rio! Adesso faccio parte della velha guardia, e ce la caviamo alla grande, ti assicuro!… non dirlo a nessuno, ma qualche volta anche meglio dei giovani.

Bene, vivevo con l’uomo della mia vita in una casa umile. Si viveva con poco, nel mezzo del Sertão. La terra non era produttiva e ci spaccavamo la schiena per due soldi, ma amavo gli alberi dal tronco duro e intrecciato, e conoscevo ogni crepa di quella terra dura e maledetta. Non farmici pensare… al tramonto il cielo si faceva tutt’uno con la terra rossa e il vento sollevava la polvere e creava una foschia misteriosa che assomigliava a quella di Rio, anche se qui è il mare che la crea. Amavo così tanto il mio uomo, ma lui è stato molto crudele con me. Un giorno  è successo che… è successo… me lo ricordo quel giorno come se fosse capitato ieri. Quanto dolore. Scusami. Un giorno si è presentata a casa mia una donna con una schiera di bimbi e giovani. Sette erano e se ne stavano a fare la escadinha, come la chiamiamo noi: in fila dal più nanetto al più alto. Se ne stavano dietro a quella donna e mi guardavano dimessi. Lei con la voce spezzata dal pianto mi ha detto solo questo:

– Signora, mi scuso per aver violato la sua casa, ma non ho potuto fare diversamente, – mi diceva scandendo ogni sillaba con la voce spezzata dall’emozione, – io sono la moglie dell’uomo che sta qui da lei, e questi sono i figli di lui.

Io non sapevo nulla.

Mi aveva sempre mentito.

Non eravamo sposati ma vivevamo insieme da anni.

Andava tutto così alla perfezione.

Posso rivivere quella sera anche adesso: ce l’ho qui davanti. I miei occhi dovevano essere duri come quelli della donna che stava di fronte a me, immobile, alla soglia di casa mia. Lui non c’era.

Ho detto loro solo questo:

– Grazie per la visita. Entrate. Andate nella stanza di là. Aspettate lì. Gli faremo una sorpresa.

La sera è arrivato. L’ho fatto sedere. Gli ho messo davanti il piatto con il caldo come tutte le sere. E gli ho detto solo questo:

– Hai visite. Penso che ti farà piacere vedere chi è passato a trovarti.

La donna, amica mia, quanto dolore deve aver provato, lo so solo io e lo sa solo Dio; la donna è uscita, e i ragazzi anche. Ho visto la morte negli occhi di quel safado. La donna e i ragazzi si sono seduti tutti al tavolo senza dire una parola. Ho detto solo una cosa:

– Ora sedetevi. Siete ospiti a casa mia.

Lui ha ripreso a scavare nel suo piatto con il cucchiaio. Ho disposto i piatti per gli altri ed ho versato loro il caldo.

Quando abbiamo finito di  mangiare, ho detto solo questo a quel safado:

– Domani tu ti svegli e vai a lavorare. Loro staranno qui.

Ho passato qualche giorno con loro, e ho conosciuto meglio quella donna. Oggi è lei l’amore della mia vita. Ci scriviamo. Lei continua a ringraziarmi e a parlarmi dell’amore che prova per me, e io le rispondo che io amo lei. Sono addolorata di quello che ha dovuto passare quella donna. Non parliamo mai di  lui. Non ho voluto sapere mai più niente di lui. Lo amo ancora, lo amo come l’ho sempre amato, perché è l’uomo della mia vita, e quello che provo quando penso a lui lo sappiamo solo io e Dio, ma quel giorno gli ho detto solo una cosa:

– Tu starai in questa casa e manterrai la tua famiglia. Io ti amo, io non ho mai provato un amore così intenso per un uomo; ma tu hai fatto una cosa della quale non ti perdonerò mai: tu mi hai mentito. Per questo tu non mi vedrai mai più.

Sua moglie mi scrive che ha una mia foto che conserva con amore. Io di lui ho tenuto solo una maglietta con la quale… scusa, forse non dovrei dirtelo… ma io sono makumbeira… e di tanto in tanto, quando il dolore si fa forte dentro di me, io prendo uno spillo e… ZAC!… faccio provare a lui lo stesso dolore forte che provo io, proprio qui, dove fa più male. Ma non sono mai riuscita a provare un amore tanto grande quanto quello che provo per quel safado. Dio ha voluto così.

E adesso ti dico solo questo, gringo: beviamo, perché tra poco si balla.

-5 giorni alla chiusura del primo capitolo. Tra cinque giorni anche la Finestra sulla favela tornerà a casa: in Italia, al quartiere Ponte Lambro di Milano. Se qualche cortese lettore si fosse affezionato alla Rocinha e a qualcuno dei suoi abitanti, ne sentirà la mancanza come ne sentirà la mancanza la Finestra; ma le lancette dell’orologio hanno fatto molti giri, e comunque la Finestra tornerà ad affacciarsi ad altri luoghi,  di emarginazione e di grande umanità, siano essi remoti o fisicamente vicini a casa. Ma di questo si riparlerà dopo l’ultimo racconto.

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