Meu amor (mio amore).
Meu filho (figlio mio).
Obrigado. Obrigado a você (ti sono riconoscente. Sono io che ti devo riconoscenza).
Meu senhor, minha senhora (mio signore, mia signora).
Pequenina, que linda é você (piccolina, che bella che sei).
Meu amor, Mio amore, amore mio, lo dicono tutte le donne a tutte le ragazze più giovani che aspettano un bimbo, e lo dicono tutte le ragazze giovani ai bambini più piccoli che chiedono qualcosa per curiosità. Di che cosa hai bisogno, meu amor? Posso aiutarti meu amor? Me fala, dimmi, meu amor.
Meu filho, figlio mio, lo dice un moto-tassista a un menino da rua, cioè, a un bambino che vive molto tempo girovagando per i vicoli, senza limiti, senza paure, in selvaggia libertà; glielo dice quando il bambino si lancia in mezzo ad una strada come se fosse un’ombra, noncurante di poter essere toccato dai corpi materiali che lo circondano. Il moto-tassista inchioda e lo sfiora. Il bambino è già dall’altro lato della strada e osserva il suo mancato carnefice, sorridente e strafottente. Il motociclista suona furiosamente il clacson per catturare l’attenzione del piccolo, si toglie il casco, ritrova la calma e gli dice, ora risentito ora rassegnato, di guardare la strada prima di attraversare, meu filho.
Obrigado, ti sono riconoscente. È il modo di dire grazie, e tutti i bambini, anche quelli che passano molto tempo girovagando per i vicoli, anche quelli che attraversano senza guardare, dicono obrigado quando dai loro qualcosa, o quando non gliela puoi dare e gli spieghi il perché con gentilezza, e se per qualche motivo dici a uno di loro che gli sei riconoscente , lui ti risponde obrigado a você.
Meu senhor, minha senhora, mio signore, mia signora, può essere qualsiasi persona adulta che conosci o che incontri per caso anche solo una volta. A chiunque, anche ai bambini, si dà del lei, del você: è una comune e popolare forma di rispetto quotidiana. Ma quando incontri una persona di mezza età o a una persona anziana (così rare in favela), o un professionista, allora la chiami meu senhor, minha senhora.
In favela Rocinha c’è una piccola principessa che non raggiunge i sei anni di vita e che ha un fratello quasi della sua età e un altro fratello più grande, e sorride con gli occhi. Questa piccola principessa, che quando sorride piega leggermente il viso verso il basso, come se per discrezione non volesse mostrarsi mentre ride, ha una madre che l’accompagna tutti i giorni a studiare presso una piccola scuola di favela e poi torna a prenderla al pomeriggio. Mamma e figlia, dopo la scuola, raggiungono il fratello più grande e il padre che, alla periferia della favela, a ridosso di una via dove ci sono tante auto veloci che arrivano da un’altra parte della città, occupano un pezzo di marciapiede per vendere birre e bevande rinfrescanti che tengono fresche dentro a una cassa grande e piena di ghiaccio. Vendono fino a quando il cielo è così scuro che non vedi neanche le stelle perché ti viene voglia di addormentarti, dopo aver sorriso tanto per tutto il giorno, ti viene voglia di addormentarti sulla tua sedia sulla quale te ne stai accucciata tutto il tempo mentre fai compagnia ai tuoi fratelli e ai tuoi genitori che lavorano, perché tanto casa tua non è un bel posto dove passare del tempo, quindi tanto vale fermarsi qui all’aria aperta ché almeno sei in compagnia dei tuoi fratelli e di tua mamma e tuo papà, e poi la sedia c’ha pure le rotelle.
Se la incontri, questa piccola principessa, di notte, dalle parti del viadotto che irrompe ai confini di Rocinha, puoi abbracciarla, accarezzarle i capelli lunghi e ben curati e dirle: pequenina, que linda é você, meu amor, e lei ti lascerà intravedere un sorriso che non sarà riuscita a trattenere per l’emozione.