un impiegato in favela

Archive for the ‘Finestra sulla Sierra Leone’ Category

PS Il mercante di Freetown (con una classifica dei racconti della Finestra)

In Finestra sulla favela Rocinha, Finestra sulla Sierra Leone on 4 marzo 2015 at 13:14

Lakka Paradise prayer   – Ehi Mr. Marco, do you know vens?

– Sorry? Vens? No…

– It’s impossible, Mr. Marco, Vens?! Italy!

– Do you mean Vens is in Italy? No, I don’t think so.

– Ok.

Ci trovavamo giusto all’ingresso di Lakka, davanti al cancello, a chiacchierare con gli autisti in attesa del loro prossimo incarico, e con parte della Security. L’epidemia era già scesa, come sta continuando a scendere in questi giorni senza essere ancora terminata, e soprattutto ancora lontano dall’essere terminati gli effetti di dopo, le conseguenze dell’Ebola che continueranno a devastare la Sierra Leone (migliaia di bambini lasciati orfani, calo della produzione del riso, carenza di acqua, malnutrizione aggravata, instabilità politica, 180.000 disoccupati in più di prima, e comunque il 98% di disoccupazione, le scuole chiuse per quasi un anno, le carenze infrastrutturali sanitarie e igieniche, la sanità in ginocchio anche a causa della morte di molto personale sanitario di punta), e così, per ingannare il tempo, Abdul si era procurato un libro, che prese a leggere ad alta voce a beneficio dei colleghi presenti:

Leggi il seguito di questo post »

Blu di metilene (l’ultimo racconto, per la terza volta)

In Finestra sulla Sierra Leone on 20 febbraio 2015 at 11:17

emergency ebola sierra leone so far so good

Lontano, sempre più lontano, lontano, e le abitazioni e le baracche e i palazzi coloniali si fondono sulla superficie di una terra frastagliata. Poco prima, sulla spiaggia di Aberdeen, una folla di bimbi e di uomini si accalcava a riva, dove le onde danno senso compiuto al loro cammino infrangendosi sulla sabbia; la gente infilava le braccia nel mare e da questo estraeva pesci. Un bimbo correva felice aggrappato al suo pesce dall’enorme corpo arrotondato e sottile, dalla coda biforcuta che gli solleticava il naso rotondo, dagli occhi opachi e dalla bocca sanguinante che ciondolava a pochi centimetri dai suoi scattanti piedi nudi. Un bimbo correva felice insieme al suo pesce, grande come lui, verso la sua comunità, verso la sua abitazione, e così facevano decine e decine di altri bimbi e adulti, gelosi della loro preziosa conquista. Oggi si fa festa, non solo perché si dice che da qualche giorno l’ebola stia calando ma anche perché un branco di pesci ha commesso l’errore di avvicinarsi alla spiaggia, ed è stato intercettato da chi di questo vive, della pesca.

Sempre più lontani i pescatori, le abitazioni, le baracche e i palazzi coloniali; ciascuno di essi si confonde con gli alberi, con le palme, e contribuisce a macchiare il frastagliato territorio di colori innaturali: tasselli rossi, viola, grigi e gialli a costituire un mosaico di umanità immerso nella foresta tropicale sempre più rada.

Sempre più lontano, il battello mi sta portando lontano, verso casa, e da lontano si perdono i dettagli, e le storie di umanità sfumano; resta un mosaico, poi un Paese dell’Africa Occidentale, infine un Continente su una mappa geografica.

Ma il mare è putrido di rifiuti e il battello si ferma. Il motore all’improvviso interrompe il suo ronzio. – Sirs, Madams, non c’è da preoccuparsi: un sacco di plastica si è incastrato tra le eliche, succede sempre. Rimuoveremo la spazzatura e ripartiremo. Solo un attimo di pazienza.

Il personale dell’imbarcazione lavora mentre il battello si lascia cullare dalle onde muto. In fondo al mare, sulle colline, tornano vivi i dettagli della metropoli, i colori si fanno più nitidi, i contorni degli edifici più chiari. C’è ancora l’ebola là dentro? Sta svanendo o sta tornando a causa di quel pescatore che è arrivato due giorni fa e che pare abbia navigato avanti e indietro con tutti i sintomi prima di giungere in ospedale? Leggi il seguito di questo post »

Quando finisce una storia (quasi)

In Finestra sulla Sierra Leone on 19 febbraio 2015 at 17:20
emergency ebola sierra leone so far so good the untouchables

Foto da emergency.it

Lontano, lontano, sì, lontano da chi e da che cosa? Da un capannone stracolmo di scatoloni anti-ebola, no: a quello molto vicino. Lontano dalle tende beige? No, a quelle vicino. Lontano da chi è lontano? Sì, lontano da quello sì.

Domani, 20 febbraio 2015, l’ultimo racconto della Finestra sulla Sierra Leone, con la storia di un importante piccolo uomo che parla poco ed esprime tutto. Quindi, caro amico che hai deciso di seguire queste strampalate storie, resisti ancora un po’ affacciato alla Finestra, restiamo vicini.

Prima però il caro amico vorrà concedermi una pausa dai sierraleonesi e dai racconti più o meno comprensibili per una parentesi personale. Se me lo si concede, vorrei ringraziare qualche compagno che sta ancora in Sierra Leone e qualcun altro che è tornato da poco. Vorrei dedicare un pensiero a Leggi il seguito di questo post »

Mr. Mohammed

In Finestra sulla Sierra Leone on 18 febbraio 2015 at 13:03
Mr. Mohammed è quello accucciato.

Mr. Mohammed è quello accucciato.

Ho vissuto già molto, molto di più di altri, ma non è che abbia molti ricordi. La mia vita è volata via come un soffio, e tutto quello che mi rimane è uno stuzzicadenti, un cappellino, le gambe storte e una casa dal tetto di zinco. Forse una volta avevo una famiglia, non mi ricordo. In ogni caso ora sono un uomo libero: solo e libero, e, senza false modestie, ritengo di esercitare un certo fascino sul mondo femminile.

Ho lavorato come operaio per Jerome per molto tempo, ma non è che abbia mai avuto un lavoro fisso. Quando c’era da lavorare si lavorava, si prendevano 20.000 Leones al giorno per spaccarsi la schiena. Che moneta c’è nel Paese da dove vieni? Ci sono i Leones anche lì forse? Gli Euro? Che cosa sono, quanti Euro servono per fare 20.000 Leones? Leggi il seguito di questo post »

Lauretta

In Finestra sulla Sierra Leone on 16 febbraio 2015 at 10:59

emergency ebola sierra leone lauretta typical africa setting

Non che la mia terra sia più così, non che l’abbia mai vista così. Oggi le nostre case hanno i tetti di zinco e i rivoli che sfociano nel mare immenso sono soffocati dalla plastica. Non che abbia ricordi di bambina, ma com’è lo scenario tradizionale della mia Africa lo so.

Le nostre case erano fatte di foglie di palma, di fango e di legno. Erano piccole e dignitose. Non che oggi non lo siano, ma sono molto calde perché lo zinco scalda e ci sono poche fronde a fare ombra. Le strade erano sentieri che si percorrevano a piedi; oggi sono enormi. Alcune sono asfaltate, altre no, e vi scorrono mezzi enormi che trasportano massi neri e pietre più piccole, alzando nuvole di polvere rossa che restano sospese per ore. Nel panorama tradizionale della mia Africa, le palme, le mangrovie, l’albero del pane, i baobab, enormi, si intrecciavano a metà tra il cielo e la terra e disegnavano con i rami fitti figure di animali mitologici per noi che le osservavamo da terra, e forme di esseri umani esotici per le aquile che volteggiavano lassù in alto. Le palme, le mangrovie, l’albero del pane, i baobab ci davano ombra e cibo; noi pestavamo le foglie nel mortaio e setacciavamo i semi con rispetto. Le palme, le mangrovie, l’albero del pane, i baobab ci sono ancora, ma ce ne sono meno: hanno lasciato spazio alle cave di diamanti. Ora di diamanti se ne trovano meno di qualche anno fa e, chissà, forse, se continua così, un giorno le strade enormi torneranno a stringersi in sentieri, lo zinco cederà al legno e la foresta tropicale tornerà ad abbracciarci. Intanto è arrivata l’ebola.

Un giorno mi sono trovata davanti al Leggi il seguito di questo post »