Ho vissuto già molto, molto di più di altri, ma non è che abbia molti ricordi. La mia vita è volata via come un soffio, e tutto quello che mi rimane è uno stuzzicadenti, un cappellino, le gambe storte e una casa dal tetto di zinco. Forse una volta avevo una famiglia, non mi ricordo. In ogni caso ora sono un uomo libero: solo e libero, e, senza false modestie, ritengo di esercitare un certo fascino sul mondo femminile.
Ho lavorato come operaio per Jerome per molto tempo, ma non è che abbia mai avuto un lavoro fisso. Quando c’era da lavorare si lavorava, si prendevano 20.000 Leones al giorno per spaccarsi la schiena. Che moneta c’è nel Paese da dove vieni? Ci sono i Leones anche lì forse? Gli Euro? Che cosa sono, quanti Euro servono per fare 20.000 Leones? Quattro? Quattro di quella moneta che si chiama Euro? Non trovi che sia poco? Noi qui si pensa a migliaia, a decine di migliaia e a milioni, forse perché così ci sembrano di più e siamo più felici. Non che ci si faccia un granché, con quei soldi: a mala pena ci si compra il riso e un bicchiere di liquore, anche perché mica si riesce sempre a lavorare tutti i giorni, e così, quando ti arrivano i 20.000 Leones, devi stare attento a non bruciarli in un soffio.
Comunque Jerome stava cominciando a scartarmi perché sono vecchio, anche se, per quanto mi riguarda, le mie braccia me le sento ancora forti. Comunque, quando è arrivata l’ebola e abbiamo cominciato a lavorare qui, Jerome mi ha consigliato di piazzarmi in questo magazzino, e ho dovuto prendere atto che c’è un tempo per gli uomini nel quale la fiducia di una vita conta di più della forza che ti senti nelle braccia.
All’inizio ero solo, dentro a questo tendone, e mi occupavo di tutto: scaricavo le scatole, le mettevo in ordine una di fianco all’altra, imparavo a capire che cosa contenessero dal colore, dalla forma e dalle scritte. Questa è stata la parte più difficile per me, perché io non ho mai imparato a leggere. Sai, solo qualche volta, dopo tutto questo tempo in magazzino, dopo tutte queste scatole che vanno e che vengono, qualche volta, se mi concentro molto e guardo con molta attenzione una scritta, mi pare di poterne quasi capire il significato. Che stia imparando a leggere? Non è mai troppo tardi nella vita, vero? Sarà che ai tempi dell’ebola, a quasi cinquant’anni di vita anno più anno meno, sia giunto anche il tempo di imparare a leggere? Non che ci tenga molto. Ci tengo di più allo stipendio fisso, che, vero, è più basso di quello che avrei preso se avessi lavorato tutti i giorni con la paga giornaliera, ma è fisso, e di tanto in tanto non guasta sapere che alla fine del mese riceverai sempre lo stesso gruzzolo di Leones. Poi in questo magazzino sono un’autorità, sono il sovrano, il re degli scatoloni, e anche quando sono arrivati tutti gli altri a dare una mano, e anche dopo che sono arrivati quelli che sanno contare, leggere e scrivere, Momoh e Lauretta, io sono rimasto un punto di riferimento: solo io e l’italiano possiamo decidere se una scatola si può spostare da qui a lì e se un pallet può restare o se ne deve andare. Neanche Momoh e Lauretta possono spostare una scatola o un pallet senza la mia autorizzazione. Leggere non so leggere come loro, ma dove si mettono le scatole, lo decido io. E adesso, con tutti questi assistenti che mi hanno dato, non devo neanche farlo con le mie braccia: posso ordinare che sia qualcun altro a farlo. Insomma, qui ho trovato una posizione nuova, e non fa niente che la gente internazionale mi abbia soprannominato “il molleggiato” perché ho le gambe storte, e che dicano che ho una camminata che mi porta ad ondulare a destra e a sinistra come un cantante del loro Paese che chiamano “il molleggiato”. Non importa che quando indosso il cappellino e lo stuzzicadenti e mi faccio il mio passaggio nel corridoio della mensa tutti mi guardino e dicano che assomiglio a un playboy o a questo tale molleggiato, perché io sono felice così: ho una posizione in questo ospedale, ho la mia età, sono solo e libero, e, ripeto, ritengo di esercitare un certo fascino sul mondo femminile; così, nonostante l’ebola abbia portato dolore, a me, se anche si trattenesse qualche giorno di più, male non farebbe, perché ai tempi dell’ebola lavoro e sono rispettato.
Ho perso i miei figli, le mie madri, i miei padri; ho perso la mia casa e i miei amici, ho perso i miei fratelli, a migliaia. La guerra era finita e pregavamo insieme un solo Dio alternando preghiere mussulmane e cristiane, ottenendo il nostro nutrimento dal mare e dalle sue divinità; poi, un giorno, un bambino o un giovane (siamo tutti giovani) ha raccolto un frutto per terra e l’ha morso, e si è scatenato l’inferno. Alcuni di noi sono sopravvissuti, alcuni di noi si sono messi a lavorare, e io sono tra quelli.
Lavoro nel magazzino di un centro di cura dei malati di ebola. Sono io che l’ho aperto e che ci ho depositato le prime scatole. Non dimenticatevelo mai: da qui non si sposta nessuna scatola fino a che l’autorizzazione non viene da Mr. Mohammed detto il molleggiato. L’ebola mi ha portato un lavoro fisso e un nuovo soprannome. Certo, non sarebbe male se l’ebola se ne andasse e io potessi conservare il mio lavoro. Così sarebbe proprio l’ideale. Non mi dispiacerebbe continuare a lavorare in un ospedale sempre come responsabile scatole e pallet. Se per esempio l’ospedale lo lasciassero diventare qualcos’altro, magari un ospedale per bimbi, non sarebbe male. Spazio all’infanzia, spazio ai giovani, e rispetto per gli anziani, anche quando molleggiati! Mi chiamo Mohammed, Mr. Mohammed, ed è stato un piacere incontrarti, strano essere umano che guardi e sorridi da quella Finestra lassù. Tante volte ti venisse voglia di scendere, di farti una passeggiata nel mio mondo, passa a trovarmi, cercami nel magazzino di un ospedale, così potremo stringerci la mano e abbracciarci. Se Dio me lo concederà, mi troverai da quelle parti ancora per qualche tempo.
N.d.a. Tremate, sono tornati gli untori. Momoh, Lauretta e Mr. Mohammed si sono presentati; tra poco la Finestra sulla Sierra Leone si chiuderà (per il momento) con l’ormai consueto racconto della staffa, il racconto della saidera. A presto con l’ultimo racconto di questo capitolo della Finestra sulla Sierra Leone.
- Mr. Mohammed è quello accucciato.
- Mr. Mohammed è quello accucciato.
- Mr. Mohammed è quello accucciato (in basso a sinistra, con il cappellino).
- Mr. Mohammed con una bella camicia.
[…] storia cominciata così: Come stai? Dove vai? Una storia che ha incrociato gente importante, quali Mr. Mohammed, Lauretta e Momoh, e decine di altri splendidi esseri umani come […]
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[…] storia cominciata così: Come stai? Dove vai? Una storia che ha incrociato gente importante, quali Mr. Mohammed, Lauretta e Momoh, e decine di altri splendidi esseri umani come loro. Con un inchino e infiniti […]
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