Da Finestra sulla Sierra Leone Il ritorno, di Un impiegato in favela
Nel giorno in cui si festeggia la dimissione dell’ultimo paziente di ebola noto, e si conta il primo dei 42 giorni che porteranno a dichiarare la Sierra Leone libera dall’ebola, i miei piedi restano ancorati alla terra sierraleonese e i miei pensieri volano indietro al periodo peggiore dell’ebola, quando facevo parte di una squadra di circa cinquecento persone che l’hanno affrontata ogni giorno, o meglio che ogni giorno si sono impegnate affinché i pazienti potessero affrontarla e sconfiggerla.
Ma dopo la foto c’è un ma.
Ma l’onda d’urto sta avendo e avrà un impatto sociale ed economico enorme. Alle conseguenze sanitarie sui sopravvissuti (calo di vista, artralgia, emicrania), c’è da aggiungere quelle che seguiranno la chiusura di molte imprese per più di un anno (chiusura imposta giustamente per evitare aggregazioni di persone), da cui l’aumento della disoccupazione, il calo della produzione, l’impatto sull’economia agricola (raccolti che restano senza acquirente). Un’intera generazione ha perso almeno otto mesi di scuola (che è rimasta chiusa per la stessa ragione che ha tenuto chiuse le imprese); da rapporti di varie ONG, più di 12.000 bambini sono rimasti orfani di uno o di entrambi i genitori; le famiglie, già molto giovani, perdendo adulti hanno perso fonte di sostentamento; è aumentata la gravidanza adolescenziale perché è aumentata la vulnerabilità dei bambini. Tutto ciò si traduce anche in un rischio di aumento di malnutrizione. La Sierra Leone è un Paese che storicamente appoggia molto della sua economia sull’estrazione e l’esportazione di minerali preziosi, ciò che ha provocato l’atroce guerra di fine anni novanta e inizio duemila senza che questo settore abbia smesso di essere importante. Ecco, da fonti ufficiali, le esportazioni di oro sono calate da 3,6 miliardi di Leones di marzo a 637 milioni di giugno, e la “West African Minerals” ha annunciato che uscirà dalla Sierra Leone nel 2015.
Ma la favela resta favela. Qui la gente non ha niente, la metropoli è degradata, le condizioni igieniche disastrose, le province sono del tutto prive di servizi base. Dopo l’onda mediatica – spesso fuori luogo se non dannosa – di fine 2014, tra poco, i riflettori sulla Sierra Leone saranno fatti tacere anche del baluginare generato dalla lieta notizia dell’ultima dimissione.
Chi ha paura dello tsunami?