Da Finestra su Longacres, Di A.
… i sintomi dell’amore sono gli stessi del colera.
(L’amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez)
Finalmente è calata la notte a Lusaka, e così pure il silenzio. La finestra sta per chiudersi, mentre le tende color magenta filtrano il chiaro di luna di una lampadina levata nel cielo ed i pensieri rimangono intrappolati nella stanza, fermi davanti agli occhi. Mi guardo allo specchio e gli stessi pensieri scorrono uno davanti all’altro in ordine casuale, allora mi spoglio dei vestiti e provo a spogliarmi delle preoccupazioni, le lascio cadere tutte a terra sul pavimento, intorno alle caviglie sottili che portano un peso nuovo. Eccoli i miei pensieri, pronti ad essere calpestati, maltrattati e così procedo, li calpesto, li maltratto e li maledico. Tra tutti i pensieri uno rende la notte zambiana più greve: lui, lui che ha attraversato l’oceano per vedere il Cigno e l’Orsa Maggiore, lui che vive sotto un altro cielo. Il silenzio si infrange, incomincia a piovere contro ai vetri sulla finestra chiusa, le gocce bussano forte, esattamente come le mie nocche sulla scrivania. Un suono regolare invade la stanza, è lo squillo del telefono: è lui che si ricorda di aver lasciato la Chioma di Berenice e la Croce del Sud, di aver lasciato me sotto un cielo di tenebra. Non rispondo. Sono sola nel mio Paese, nel Paese che lui ha abbandonato, ed in grembo porto il figlio di un fuggitivo. Ma io il frutto di questo amore avvelenato non posso permettermi di coglierlo: devo sbarazzarmene.
Il telefono continua a squillare. Dell’amore Leggi il seguito di questo post »





