Da Finestra sulla Nigeria (del nord), di Un impiegato in favela
Sarà anche solo questo sole enorme, questo sole enorme intimidito dal velo di sabbia che al suo cospetto fluttua danzante per indispettirlo, neutralizzandone i raggi, costringendo questi alla dispersione, dispersione in un alone vago che sfuma sotto un cielo perplesso che abbraccia la sua stessa immagine mutata in fata morgana; saranno le corna che a questo cielo si sovrappongono risalendo l’avvallamento ai margini di una strada ancora sterrata fino a mostrarsi nella loro intera sinuosa lunghezza, per poi cedere il passo al muso di una vacca e poi ad altre corna, a due a due, lentamente, fino a rivelare la presenza di una mandria che si lascia accompagnare accondiscendente da un bimbo col bastone, due cani, tre capre e una donna a cavallo; saranno i rottami di un tozzo carro armato abbandonato dall’altro lato della strada, la gente distesa ad aspettare sulle panche dei villaggi di sabbia, i copertoni distesi in fila sull’asfalto provato dal continuo passaggio dei tir, le abitazioni scoperchiate, la steppa infinita; sarà quella sequenza di tir sventrati come balene arrugginite alla deriva o i cumuli di plastica nera che riaffiorano dalle distese di sabbia come cime di iceberg dalle onde del mare; saranno i posti di blocco della milizia civile o i soldati armati tra la gente, sarà la mia suggestione, perché so che in questa regione si combatte ancora quasi tutti i giorni, e loro, quelli dell’esercito irregolare, devono stare qui da qualche parte, nascosti a migliaia, con centinaia di bambine in ostaggio da anni; sarà per una o per tutte queste ragioni, ma attraversando queste terre, le terre di Borno, sento Leggi il seguito di questo post »