Finestra su Haiti, di Pollyanna in favela

Giovedì 19 marzo 2020 è stata la festa del papà, ma anche il giorno in cui Haiti ha riscoperto la paura. In epoche quasi dimenticate la popolazione ha vissuto deportazioni, massacri, schiavitù, epidemie. Le cicatrici dei più recenti terremoti, uragani, carestie pulsano ancora sulla pelle di questa gente così caparbia e fiera.
Due casi di COVID-19 ad Haiti. Stato di
emergenza. Fase 2. Scuole, università, chiese, templi vudù, aeroporti internazionali e frontiere marittime e terrestri: tutto chiuso. Fino a nuovo ordine.
Il messaggio non è molto diverso da quelli che la mia famiglia e i miei amici stanno sentendo quotidianamente dai telegiornali italiani.
Eppure sembra di vivere nei racconti dei miei nonni, di quando c’era la guerra e tutti aspettavano il comunicato radio per sapere che cosa stava succedendo nel mondo. Qui è (ancora) così: nelle loro case gli haitiani non hanno elettricità e si arrangiano con una radio a pile, quando possibile di quelle ricaricabili. Una ricerca ossessiva della notizia, solo per scoprire, nella notte illuminata solo di stelle, se e quando l’ennesimo nemico a cui resistere violerà anche la loro casa.