Da Finestra sulla Nigeria (del nord), di Un impiegato in favela
Villaggi rossi si confondono col suolo, bimbi come fantasmi, assemblee all’ombra della chioma del mango, vacche dalle corna slanciate e la scatola toracica ben visibile pascolano (partono prima dell’alba coi pastori, le capre e i cani e dominano le strade con e senza asfalto). Dicono che se proviamo a tornare a casa, adesso che è stagione di seminare e trattare la terra, troveremo gente armata: sono soldati di Boko Haram, sono pastori ricacciati a sud dal deserto. Le nostre terre si inaridiscono, a Taraba i serpenti ne hanno uccisi diciannove di noi, Forse dovremo tornare al campo, in terre che non sono mai state nostre, forse dovremo organizzarci e reinventarci, forse dovremo attraversare il deserto. Il grande lago si ritira, le truppe irregolari avanzano: hanno occupato un vilaggio di una regione del nord, attaccano da questa e da quella parte del confine col Niger, e adesso non sappiamo con chi o contro chi stiano – o stiamo – combattendo. Vivevamo confinati nella paglia, tra pareti rosse di sabbia, ora viviamo nel legno e nella lamiera, qualcuno nelle tende che qualcuno ha montato per noi. Se non riusciamo a coltivare le nostre terre nelle prossime settimane, l’anno prossimo sarà carestia, e poi ci sarà l’epidemia. Chissà dove saremo l’anno prossimo, e se ci saremo ancora. Un dromedario ciancica e procede a passo lento, con una specie di sorriso.
Nella galleria fotografica una collezione di villaggi di sabbia.
Ed ecco poche foto di Sebastião Salgado da: “Sahel: The End of the Road”, con l’invito a guardarle meglio di così, per esempio vedendo il film “Il sale della terra” di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado.