un impiegato in favela

Il sogno di A (per Antonio Spirito)

In Ad Antonio Spirito, Finestra sulla favela Rocinha, Il libro della Finestra on 4 febbraio 2016 at 09:15
Il sogno di A - per Antonio Spirito

(foto di Antonio Spirito)

C’era una volta il quindicenne A, che aveva vissuto tutta la sua vita nel mezzo di un groviglio di vicoletti sgocciolanti che si contorcevano in scale sgangherate che decine e decine di bimbi risalivano e ridiscendevano in ciabattine, pantaloncini e maglietta; si contorcevano e si aggrovigliavano, i vicoli, fino a sfociare in una piccola piazza. Se arrivavi da dove la domenica sera si suonava e si ballava il pagode, dalla cima della coloratissima Rua Quatro, a metà della collina: non ancora lassù, dove i mattoni e il cemento cedevano gradualmente a tronchi e radici che suggerivano le intricate oscurità della foresta tropicale più fitta; ben distante da laggiù, dove una larga strada asfaltata univa Leblon a São Conrado e São Conrado a Barra e separava il popolo di favela dal resto del mondo, se arrivavi da qui, dal cuore della favela Rocinha, alla piazzetta accedevi giù per una scalinata stretta e ripida, affiancata da un raro passamano di ferro fatto montare da Nando, che proprio qui, in cima ai gradini, gestiva una scuola per bimbi. Presso la piazzetta, dopo i vicoli, le braccia di chi la raggiungeva all’improvviso sentivano di potersi esprimere nella loro massima estensione, i polmoni di potersi finalmente liberare in un respiro leggero; eppure chi avesse compiuto quest’impresa non si sarebbe certo ritrovato al centro di un enorme spazio: in alto un pezzo di cielo, su un lato una muraglia grigia che si dischiudeva in un tunnel basso e stretto che ti avrebbe accompagnato verso nuove ristrettezze simili alle precedenti, poi la roccia stessa della collina a chiudere l’altro lato e a fare da fondamenta a grigi pilastri martoriati da spuntoni di ruggine, poi, sulla cima dei pilastri, indecisi pavimenti e tremanti pareti a confezionare stanzette affollate dall’anima di mattonato rosso e calce sgretolata, infine un’altra stretta scalinata proiettata verso chissà quali nuove aggrovigliate destinazioni. Qui, in questa piazzetta e nei vicoli attorno, il quindicenne A aveva snocciolato ogni singola giornata dei suoi quindici anni di vita di favela.

Non che non gli fosse mai passato per la testa di andare a posare il sedere sulla sabbia delle spiagge famose, che, non distanti, giacevano un granello in fila all’altro facendosi chiamare Ipanema e Copacabana; ma tanto già sapeva che se non si fosse portato qualcosa da vendere e uno slogan buffo da urlare, a causa di un buco nella maglietta, di un dente cariato e della tonalità scura della pelle, turisti spiaggiati e poliziotti lo avrebbero accolto non con lo sguardo di chi aspira alle gradevoli offerte di un commerciante carioca, ma con quello di chi tiene sotto controllo un ladruncolo. Queste due erano le possibilità per un ragazzino di favela: certo, nella spiaggia di São Conrado, subito sotto alla Rocinha, avrebbe anche potuto sdraiarsi sulla sabbia a fare semplicemente il bagnante, ma nelle spiagge più frequentate dal turismo nazionale e internazionale e dagli abitanti dei quartieri benestanti, solo la parte di venditore ambulante o di ladruncolo avrebbe potuto interpretare, e siccome il quindicenne A non avrebbe saputo che cosa vendere, non essendo proprietario di nulla, e non avendo nemmeno voglia di scorgere gente mettere al sicuro la borsa al suo passaggio, aveva sempre preferito starsene a casa.

Qualche volta gli era pure passato per la testa di cercare un lavoro là fuori, ma i camerieri dovevano avere la pelle chiara in molti locali, e più i locali erano di alto livello e più chiara doveva essere la pelle dei camerieri, mentre a quelli come lui erano riservati ruoli da retrovie e, con molti anni avanti a sé, riteneva non fosse ancora giunto il momento di inginocchiarsi armato di straccio davanti a un cesso. Poi aveva ben presente i racconti di qualche suo amico che ci aveva provato ed era stato cacciato dietro minaccia di un telefonata alla polizia solo per aver chiesto il permesso di andare a fare una cagata in uno di quei marmorei simulacri che tanto loro stessi avrebbero dovuto far risplendere. Chiamare la polizia per l’intenzione di esprimersi in una cagata?

In favela nessuno ti cacciava, tutti ti sorridevano, si guardava insieme il gioco del Vasco, Tudo bem?, Valeu!, e così il quindicenne pensava bene che non valesse proprio la pena di avventurarsi nella giungla di umanità pallida che si infittiva a partire da laggiù, dal caotico stradone Leblon-Barra, tanto quanto la foresta di Tijuca da lassù, da dove il groviglio di vicoli prendeva a sciogliersi in terra e radici.

Il quindicenne A aveva la passione del calcio e, se eri un gringo e ti incrociava dalle parti della piazzetta, ti acchiappava e si metteva a costruire per te l’elenco dei nomi degli attaccanti, dei difensori e dei portieri del tuo Paese o dei brasiliani che giocavano o avevano giocato nel tuo Paese, anche se non aveva idea di dove si trovasse il tuo Paese. Ripassava l’elenco… Edmundo, Emerson… e a ciascuna ogni voce si fermava a sondare le tue reazioni… Buffon, Cannavaro… e se mostravi con un cenno del viso di riconoscere il nome che aveva pronunciato, ti rifilava una pacca su una spalla ed esplodeva in una fragorosa risata. Poteva andare avanti così per ore, era il suo gioco, il suo argomento, il suo legame con il mondo di fuori.

C’era una volta un gringo che era anche un fotografo italiano e che aveva il nome di uno spirito. Anzi, proprio Spirito si chiamava, non come se fosse uno spirito qualsiasi, magari uno spiritello apprendista di Yemanjá, la dea del mare e della purezza, o di Xangó, il dio del fuoco e della guerra, o di Oya, la dea del vento e del cambiamento, ma proprio come se fosse lo Spirito degli Spiriti, lo Spirito. Quando il quindicenne A incontrò lo Spirito, dopo aver appreso che il fotografo veniva dall’Italia, pur non avendo idea di come individuare lo Stivale su una mappa, peraltro non immaginando affatto che l’Italia potesse avere la forma di uno stivale, prese ad esercitarsi nell’argomento che lo trovava più preparato, e giù di Baggio, Totti, Ronaldo e Falcão! Lo Spirito non ci mise molto a capire che non era il caso di assecondarlo in eterno, così afferrò l’arma che portava sempre a tracolla e tra Julio Cesar e Cafù riuscì a catturare un ricordo del ragazzino, a ritrarlo proprio mentre si liberava di una delle sue roboanti risate. La foto della risata del quindicenne A fu inserita dallo Spirito in un libro. Ma la favola non finisce qui, anzi ricomincia da quando lo Spirito decise di tornare dall’adolescente e di regalargli il libro con la foto che lo ritraeva.

Il quindicenne A, quando tra le pagine del libro ricevuto scorse il suo volto e vide se stesso come quando si guardava allo specchio, alzò lo sguardo taciturno verso lo Spirito chiedendosi come potesse essersi realizzata la magia. Seppe poi che libro con l’immagine di lui era atterrato fino in Italia e, nonostante le gravi carenze in geografia, si sentì all’improvviso ribaltato oltre lo stradone Leblon-Barra, oltre anche São Conrado, più lontano ancora di Ipanema e Copacabana e anzi oltre la fine dell’Oceano. Tentò senza successo di scandire un “Valeu!”, ma la sua voce si spezzò tra la e e la u e neanche riuscì a pronunciare un solo nome di uno dei suoi giocatori preferiti, neanche la B di Baggio riuscì a pronunciare, neanche la R di Ronaldo. Lasciò che i suoi pensieri tornassero in volo fuori dalla recinzione, oltre la roccia della collina, oltre i pilastri che la roccia a stento sorreggeva, oltre i pavimenti che tremavano in cima ai pilastri, oltre lo sgocciolare dei vicoli, più in alto della cima arrotondata dei Dois Irmãos, addirittura sopra le braccia spiegate e l’aureola del Cristo Redentore, sopra le nuvole, verso un luogo dove la gente parlava in modo diverso, verso un Paese lontano che non avrebbe mai pensato di poter raggiungere in tutta la sua breve vita.

Dov’è adesso il quindicenne A? Dove si trova? Che cosa starà facendo ancora chiuso tra quei vicoli? Come finirà questa favola?

N.d.a. Questa favoletta (rivisitazione del racconto già pubblicato a suo tempo) è ispirata all’incontro realmente accaduto tra Antonio Spirito e il quindicenne A e ad entrambi è dedicata. Nel 2012 Antonio scattò la foto della giovane entusiasta risata del ragazzino dalla pettinatura alla Neymar. Le foto della galleria qua sotto, della consegna del calendario 2013 de Il Sorriso dei miei Bimbi (quello con le foto di Antonio Spirito) al quindicenne A, sono di Emma De Masi.

“Finestra sulla favela: racconti e immagini dalla Rocinha di Rio” contiene altri 36 racconti accompagnati dalle foto di Antonio Spirito. L’E-Book è disponibile su Kindle Store e Amazon, per Kindle, tablet e smart phone, si può scaricarlo seguendo questo link: http://www.amazon.it/dp/B017ET69F4

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