“Uuh guarda che bello, sembra di rivedere il gorilla nella nebbia, con la foschia e le mangrovie che emergono dal delta del fiume. E guarda, guarda! Lì stanno anche gli aironi! No, forse non sono proprio aironi, ma ci vanno vicino, diciamo che sono quasi aironi. Quello che so è che al tramonto, alla fine di una giornata di pesca o di pigro riposo sospesi tra due rami e un ciuffetto di foglie, i quasi aironi prendono il volo alla destra del sole cadente, tutti assieme: chi a stormi di cinque o sei, chi in coppia, chi in completa solitudine; chi in un modo chi nell’altro, alla stessa ora si ergono in volo e seguono la stessa direzione.
All’alba volano allo stesso modo, ma nel verso contrario.
Questo hanno continuato a fare, i quasi aironi; questo hanno continuato a fare anche per tutto il tempo dell’ebola, e anche per questi altri tempi che l’ebola è finita ma non è finita. Questo hanno sempre fatto: all’alba si sono alzati in volo tutti assieme verso il mare, e al tramonto di nuovo tutti assieme nel verso contrario.
Non si sono accorti di niente, non si sono accorti di quello che non abbiamo passato, del sangue che abbiamo sputato e cagato, delle facce gonfie, degli occhi lucidi, dei visi di bambolotto con i quali se ne andavano i piccoli e i grandi, dei lamenti notturni insopportabili, della preghiera del mattino di fronte a una tenda dentro alla quale stanotte hai perso un amico. Un amico, una figlia, un padre, la vicina di casa e poi tu.
Volano, i quasi aironi, al mattino presto in un verso e di sera in quello contrario.
L’Africa è una foschia, è la schiuma di quell’onda, quella là, quella che si sta infrangendo rovinosamente sulla superficie del mare che l’ha concepita; l’Africa è questo, per i quasi aironi. Un tempo eravamo per loro i Watussi, e pazienza che in realtà ci chiamavamo Tutsi (sì, quelli del genocidio del Ruanda), ma almeno ci vedevano allegri; ora ci vedono bambini morti, annegati; oppure portatori di una malattia brutta brutta; e per non vederci in questo stato, si lasciano cadere sugli occhi una patina di foschia, arrivando a non poterla scavalcare neanche più per scorgere i Watussi che un tempo da essa si ergevano. I quasi aironi, con la foschia negli occhi, sbandano; noi siamo fumo grigio, e nera onda del mare. sangue nero, nera morte.”, pensavo tra me e me all’ombra del Sunset Kingdom, mentre la whitewoman distinta continuava a sorridere. Forse ne farò una canzone, una canzone con il finale allegro, tipo così: “Allora i quasi aironi si fermarono nel loro errare, si rivolsero al mare, e portarono rispetto”.
In omaggio a settecento, a novecento, a migliaia, a milioni di esseri umani.