un impiegato in favela

Le comiche

In Finestra sulla favela Rocinha, Il popolo di Rocinha on 18 dicembre 2013 at 23:13

Ricordo ogni istante dei miei primi anni. Dormire al riparo di una scatola di cartone, in un angolo del mio mondo. Una notte laggiù vicino alla passarela, che era diversa da com’è adesso, non era molto diversa da una notte su nella rua um, in mezzo a un parcheggio o qualcosa del genere, e ti sentivi le zampette degli insetti solleticarti qua dietro alle orecchie, mentre dormivi, ma non mi facevano paura, ché aver paura della barata è affare di menina. La Roça, la Rocinha è la mia famiglia, e una stella sola vedevo brillare quando ero piccolo, cioè, non che adesso sia già molto grande, ma intendo dire, quando ero più piccolo, capito? Be’, dicevo, a quei tempi la mia stella luccicava sul metallo di un mitragliatore imbracciato da una faccia scura che non mi guardava mai, e io desideravo che mi guardasse, era il mio sogno.

Poi fu il tempo di un altro sogno, tanto sogno che adesso, qualche volta, se ci penso non mi pare vero, eppure mi ricordo ogni istante della mia vita. Fu il tempo di un luccichio diverso, furono le mattine passate in quella scuola in compagnia di altri come me, i bambini, e allora come adesso, qualcuno mi chiedeva: – come stai? – e io rispondevo con l’unica risposta che mi veniva, la sola che mi viene ancora adesso: – tu che ne pensi? – Mi hanno sempre detto che sono bello, e io credo che sia perché ho le fossette sugli zigomi quando sorrido di un sorriso vero: le ho sempre avute e ce l’ho ancora, anche perché sono sempre stato e sono ancora magro, anche se ho un bicipite così, guarda! Sono in forma insomma, e, a parte questo, dicevo, mi hanno sempre detto che, a parte che sono bello – e lo sono, anche se adesso mi si è rotto un dente davanti e lo so io come, ma non ve lo dico -, nel periodo della scuola, e avrò avuto quattro anni, quindi più o meno, credo, dodici anni fa, mi dicevano che ero intelligente, che avevo talento. Parole strane, nuove, e continuano ad esserlo ancora, ed è per questo che non le dimenticherò mai.

Così adesso vado in giro, me la cavo. A casa di mia zia dove è come stare in strada, una di quelle case con le pareti di roccia, la roccia umida della collina, dove tutto è ammassato, dove c’è un materasso rotto appoggiato là, nessun bagno, e dove non c’è molto spazio, anche perché mia zia è grossa e se ne prende molto, e i miei fratelli sono tutti strani, come mia madre, che ora vive all’incrocio tra un rigagnolo e un fiume di fogna, in un’altra di quelle case dalle pareti di roccia; a casa di mia zia, dicevo, non ci vado volentieri. Qualche volta non ho molto per vestirmi, e mi metto il costume da mare di qualche anno fa, che mi sta stretto. Meglio che niente. Me la cavo, vado in giro, e di tanto in tanto, per non saper dove andare e dove stare, me ne vado dai camelô, a vedere se si riesce a combinare qualcosa; c’è chi dice che vendo in Roupa Suja, ma quello che faccio lo so io e non ve lo dico. Posso dirvi che qualche volta me ne vado in giro in bicicletta, e qualche volta tornano quelle parole strane, che continuano ad essere nuove, così l’altro giorno sono apparso alla festa della scuolina dove andavo io, a vedere se c’era bisogno di aiuto, e dicono che ho aiutato molto, perché c’era da trasportare delle bottiglie, e io sono andato a recuperare dei carrelli, e l’ho fatto in un soffio. Dopo, su uno di quei carrelli, ho fatto fare un giro a quei moleque che stanno sempre là davanti, Joni, Gabriel e Maria Vitoria. Siamo andati molto veloce. Maria Vitoria guardava con la meraviglia negli occhi grandi spalancati, Gabriel guardava davanti e teneva saldi i ferretti del carrello e chiedeva di andare più veloce, Joni si è messo a piangere e abbiamo dovuto farlo scendere, e il gringo della scuolina, per farlo smettere di lamentarsi, l’ha fatto volare. Dopo, mi hanno portato a mangiare la pizza, e ho mangiato la pizza e ho bevuto il succo d’arancia. Alla tv c’era una signora che si affacciava a un laghetto di fango e uno dietro all’improvviso le prendeva la testa e gliela immergeva nel lago di fango, e lei tirava fuori la testa tutta nera. Non ricordo da quanto tempo, sarà per la pizza, o per l’aranciata, o perché gli altri parlavano di me, o perché quella faccia coperta di merda era così buffa, non ricordo da quanto tempo le mie fossette non tornavano a rendermi bello come da bimbo, come qualche anno fa.

Sta di fatto che la vita continua, tra questa e quest’altra strada, i miei fratelli sono la nebbia, mia madre quasi non me la ricordo, c’è quel luccicare, di tanto in tanto, e altre volte quell’altro luccicare. Questa notte piove, piove di nuovo, e mi pare più confuso del solito, e mi pare che lassù, sotto alla Pietra, in cima al morro, qualcuno pianga, ma io so che le fossette torneranno a renderlo bello, e anche intelligente. Stanotte piove, piove ancora, piove di nuovo; non lo so dove andrò a dormire, e neanche lo voglio sapere, e può essere anche che resterò qui dove sono.

  1. Ciao Marco ciao Marco ciao Marco trovo senso a leggere le tue storie.
    ti abbraccio, Laura

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  2. […] finestra, e da Mariana e Joni, da Orulho e Andreina, da Matheus, dal Gaúcho, da João, da Lia, da C, da Wellington, e da João, da José, da Jesus, da Mané, da Tião, da Lelé, da Xangô, da Bené, […]

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  3. […] stesso delle comiche) ha sedici anni ed ha sempre vissuto in Rocinha. Ha una madre e più di un fratello, ma non ha una […]

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