Orulho e Andreina sono due giovani dai capelli bianco candido che mi invitavano a non fare mai la tinta (a me che sono brizzolato). Li spiavo da distante: lei ballava, con i capelli ricci bianchissimi sopra un viso secco e scuro, scolpito dal tempo, mentre sculettava a ritmo funky, con l’abito rosso e le havaianas bianchissime, coordinate con i capelli, ammiccante verso l’uomo; e lui rideva, facendo finta di parlare a un compagno di bevute davanti a lui che non c’era, e invece parlava con lei, e mentre parlava si lanciava in un gesticolare buffo, indicando il fondo del bicchiere e poi salendo fino a metà, poi fino alla cima, e poi con l’indice e il medio e gli occhi arrossati su fino al cielo, e dopo una malinconica sospensione tra le stelle, scoppiava a ridere, e lei anche. Ogni tanto mi pareva che mi osservassero, mentre li osservavo dalla finestra, ma più discretamente di quanto io non sapessi fare, e veniva da ridere pure a me, e mi ricordavano Lilly e il vagabondo: poveri, semplici e felici di stare insieme, che era quanto bastava; e continuavano a giocare con il vino rosso forte, con la musica e con la morte, che si annida da qualche parte lassù tra le stelle, e aspetta un attimo di distrazione della sua preda per balzare fuori a prendersi qualcuno.
Dopo, mi sono ritrovato a chiacchierare con loro, e ho scoperto che si chiamavano Orulho e Andreina: lei di settantotto anni e gli occhi rossi, lui non lo so di quanti, e dai pochi denti, ed entrambi mi invitavano a non tingermi mai i capelli, e lui sollevava il cappellino bianco e nero per mostrarmi i capelli bianchi che crescevano sulla pelle nera. Poi è stato tutto un parlare di feijoada, e come, dopo essersi presi cura dei fagioli e del riso e della farofa e del cove, si può spruzzarci sopra uno spicchio di limone, e Andreina si massaggiava la pancia magra, ché le era venuta una fame, non mancando di affermarlo con l’arrossato sguardo rivolto al cielo. Voleva invitarci tutti a casa per la sua feijoada, e Orulho scettico alla mia proposta di andare tutti insieme da Dida, su nella rua um, però non domani che non posso perché lavoro, ma il prossimo sì, e allora lui mi diceva, be’, che forse sarà per il prossimo ancora, e magari per dopo la vacanze di Natale, e indicava il fondo del bicchiere e poi la metà e poi l’orlo, e poi le stelle, e io insistevo e garantivo che sarebbe stato per me un impegno, e loro ridevano e a me tornava in mente una vecchia canzone.
[…] anche a quelli che si affacciano ad altre finestre, da questa finestra, e da Mariana e Joni, da Orulho e Andreina, da Matheus, dal Gaúcho, da João, da Lia, da C, da Wellington, e da João, da José, da Jesus, da […]
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