Da Finestra sulla Sierra Leone Il ritorno, di Un impiegato in favela
Di solito preferisco che la Finestra non racconti ciò che capita in ufficio, per rispetto verso i colleghi e il datore di lavoro, e perché trovo che ne derivino storie noiose per chiunque che non sia direttamente coinvolto. Ma ciò che è successo in questi ultimi due giorni devo lasciarlo andare: un soffio su una manciata di parole a caso, e che esse prendano il volo fuori dalla finestra.
Ci sono luoghi, in Sierra Leone, che raggiungi attraversando file di lamiere di zinco e assi di legno incastonati l’uno nell’altro. Oltre la palude che calma le onde furiose dell’Oceano e le accompagna ad accomodarsi placide tra le mangrovie, e a confondersi con la melma, e infine a liquefarsi in polvere; oltre la strada ora asfaltata, ora buche, rivoli di fogna e impasto di escrementi e fango; oltre la fila di baracche che ospitano abitazioni, parrucchieri, sarti, officine di moto e rivenditori di assi di legno e ferramenta, commercianti di buste di plastica e cancelleria, piccoli banchetti di corpi di pollo e pesce giacenti l’uno sull’altro in penombra, a lume di candela, sfiniti dall’ardore della piastra; oltre i negozi di DVD e dischi, che la sera alzano il volume e mostrano un film ad una piccola folla immobilizzata dalla meraviglia; oltre la strada, oltre il mercato, tra le distese di fango interrotte dalle palme che si stagliano a indicare il cielo, e finiscono per ripiegarsi al suolo, vivono comunità di donne, uomini e bambini che negli anni sono stati martoriati dalla guerra e dalle epidemie, e che escono decimate dall’ultima atroce condanna senza processo.
– Ma lo sai da quanto tempo questa gente non vedeva un sacco di Leggi il seguito di questo post »