Da Finestra MEMO, Di Un impiegato in favela
Oltre le montagne, piccoletto, oltre la neve, oltre la dogana, oltre il librone rosicchiato, scritto a mano da un funzionario dell’esercito; oltre la strada per metà libanese per metà siriana, costretta tra due pareti rocciose altissime, costellate di tende militari, cannoni, contadini e pastori che risalgono e ridiscendono le montagne alla ricerca di un passaggio clandestino che li porterà a prendersi cura dei loro campi, avendo pagato 200 dollari invece che i 2000 ufficiali che non hanno e che non avranno mai, ecco la città bizantina, araba, ottomana, la città di Saladino, la città da diecimila anni, la città martoriata, la città dove tutto oggi ha ripreso a funzionare con apparente calma, la città in cui oggi solo di tanto in tanto si sente l’eco di un’esplosione, forse una mina fatta detonare in periferia; la città del mercato antico dal tetto alto, bucherellato in centinaia di fori attraverso i quali l’alba si insinua infilzando la notte come il freddo le ossa dei militari dei check-point che dietro le barricate si scaldano la divisa con un fuoco improvvisato dentro un bidone arrugginito e le mani col fiato denso e col tè; la città che si sente calma e fortunata quando le sfugge un pensiero verso Aleppo di cui si sa fin troppo e a Deir El Zor di cui da tempo non si sa più nulla. Capito in che paese mi trovo oggi, piccoletto? Mh mh.