Non combattono, no: giocano. Le vedi planare e risollevarsi all’improvviso, prendere la mira e scagliarsi con il capo verso la schiena dell’altra. Giocano o lottano? Secondo me giocano; giocano, le aquile. Perché non dovrebbero giocare? Se fosse un combattimento si massacrerebbero: sono aquile. Non deve sorprenderti: queste due che volteggiano e danzano con le nuvole, e che con le ali nel cielo disegnano cerchi perfetti a ritmo di una messa cristiana e musulmana e tribale allo stesso tempo, le conosco bene: sono sempre le stesse. Le aquile hanno tutto il cielo a disposizione ma si aggirano dalle parti della stessa nuvola, attorno alle stesse stelle, di fronte alla stessa porzione di questo sconfinato sfondo azzurro. Non è bello, il volo delle aquile che si inseguono l’una con l’altra giocando? Chiese Bockarie a Baba abbassando il casco, il cappuccio e la mascherina, torcendo la tuta di protezione totale per distogliersi dal volo delle aquile e tornare a rivolgersi al viso di una bimba appena arrivata che ha gli occhi grandi e le treccine fitte raccolte a fontanella con i fermagli colorati, che forse, adesso che la malattia si è fatta meno aggressiva, si salverà; e per tornare a spazzare la clorina via dal pavimento, perché tutto resti bene asciutto e pulito lungo i corridoi dell’unità di cura intensiva di un centro di cura dell’ebola in Sierra Leone, ai primi di febbraio del 2015.