– Faccio l’attaccante e mi chiamano “Killer” perché faccio fuori i difensori e non sbaglio mai un gol, solo che adesso è vietato giocare a calcio. Il campionato è stato sospeso e non si può nemmeno fare partitella tra amici, ma qualche volta le facciamo. Sennò vediamo le partite di fuori alla Tv. Tra gli italiani mi piace Cannavaro.
– E Totti?
– Totti? Totti è il più forte di tutti, mi piace molto! – Si tranquillizzava, parlando di calcio, Abdu, mentre percorrevamo l’unica strada asfaltata della zona, che mette in comunicazione Freetown ai sobborghi circostanti: tra i tanti, Lakka, dove c’è il centro ebola, e Goderich, dove l’ospedale di Emergency funziona da più di dieci anni; e al nuovo centro ebola da cento posti letto. Attorno a questa strada a quattro corsie separate a coppie da un gradino di cemento alto poco meno di mezzo metro tratteggiato da periodiche aperture per l’inversione a U; percorsa dai pick-up delle agenzie di cooperazione, dalle auto, dai taxi e dai furgoncini dei commercianti; attraversata da donne e uomini che trasportano sulla testa cesti di uova, cesti di pane, sacchi di riso, sacchi di sabbia, cesti della biancheria e altro; da bimbi in ciabattine, pantaloncini e maglietta a maniche corte e sorridono se li saluti, curiosissimi, e poi ti chiedono “money money“, da bimbe con in braccio altre bimbe, e da altre cucciolate, di cani, di polli e di lucertoloni sempre a caccia; dai militari vestiti in borghese e armati di mitraglie e fucili; attorno a questa strada, sentieri di fango sconnessi, baracche di lamiera, case di mattoni e cemento dalle verande circondate di capitelli barocchi e sorrette da impalcature composte da travi di legno incrociate l’una con l’altra, rigagnoli sui quali le donne e le bimbe stanno accucciate a lavare la biancheria, ma non solo le donne, anche gli uomini, e nel fiume ci si fa anche il bagno nudi ché fa caldo e non si respira; e le palme, i lucertoloni, il verde delle colline, e più in là il mare e il cielo sconfinati e vaghi.
– Sei disinvolto alla guida. Hai già fatto l’autista?
– Sì, ho lavorato per un prete italiano che sta laggiù in fondo, oltre alla collina. Ho fatto anche il meccanico.
– Quanti anni hai?
– 32, e ho due figli, di 5 e di 7 anni.
– E te ne prendi cura?
– Sì, li amo molto… Vieni anche tu dall’Italia, vero? Ti piace la Sierra Leone?
– Sì, molto, c’è molta natura tutto attorno, e il mare è molto bello.
– Sì, è così, e qui è tutto molto fresco. Quando la situazione è tranquilla e non ci sono questi problemi, c’è il mare, e il pesce è freschissimo, e la sera ci si diverte molto. Solo che a volte ci sono problemi, e non solo per l’ebola.
– Immagino. Da noi è arrivato qualcosa con un film, magari l’hai visto: Blood Diamond…
– Sì, l’ho visto. L’ho visto anche dal vivo: prima di fare l’autista facevo il minatore. E l’Italia com’è, è bella vero?
– È molto bella. Adesso là fa freddo.
– Sì, lo so! Una volta ho visto una partita del Milan e c’era la neve. Mi piacerebbe andare in Italia. Se metto da parte i soldi per il viaggio, vado a lavorare e a fare soldi, e poi torno.
Abdu ci sa fare con l’auto. Rallenta e suona quando ci sono persone o animali che potrebbero ostacolare il mezzo, ed è sveglio. È tempo di chiudere l’esame e di tornare a Lakka. Poco prima di lasciare il pick-up, Abdu freme:
– Come sono andato?
– Non posso dirti nulla, devo parlarne con il mio capo. Buona fortuna, e, se va tutto bene, Abdu, arriva sempre puntuale, sii preciso e non andare troppo forte. E mettiti sempre le cinture di sicurezza.
– Ok, lo farò, sir.
[…] Abdu l’aspirante autista […]
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