Vicino all’ingresso della favela Jacarezinho c’è un cavallo scheletrico, bianco vecchio e dagli occhi spenti; è legato a un palo, solo, immobile, e si capisce che sta lì ad aspettare la morte. Ai lati del viale che ti porta all’ingresso della favela ci sono muri di cemento armato e filo spinato; ai piedi di questi, barriere spazzatura. Qualche clochard qui si è ricavato un posto dove dormire.
Sai quando stai entrando a Jacarezinho quando oltrepassi un valico immondizia posizionata in mezzo alla strada a rallentare il passaggio di autoveicoli, quelli della polizia.
A Jacarezinho ci sono andato con Cecilia, che si è laureata da poco e fa la giornalista e collabora con una testata locale di Rio, oltre che in Rocinha con la mia Onlus. Siamo a Jacarezinho perché il suo capo del giornale, André, ci ha invitati a partecipare all’iniziativa di musica e aggregazione che ha organizzato nella sua favela. Così ho avuto modo di vedere con i miei occhi l’abisso che esiste tra una favela pacificata – una favela sotto il controllo della UPP, polizia pacificatrice – come la Rocinha, e una ancora sotto il pieno controllo dei narcotrafficanti – fino a un paio di anni fa erano tutte così – come Jacarezinho.
L’iniziativa del capo di Cecilia promuove la libertà espressione consentendo a giovani e bambini di parlare a tutta la favela, microfono alla mano e base hip-hop.
Superato cavallo e muri di immondizia, entrati a Jacarezinho, un gruppo di ragazzi intorno ai quindici seduti sul marciapiede a far niente, ci incollano addosso occhi sbeffeggianti e sorriso ironico e ce li lasciano fino a che non giriamo l’angolo. Uno con la maglia di Totti ha scelto me; mi segue e aspetta a vedere se mi giro. Io sono perplesso e cerco di non fargli capire che quel suo sguardo mi pesa, e mi chiedo perché abbia scelto proprio me, che abbia capito che simpatizzo per la Roma?!
Siamo diversi, io e Cecilia dagli altri, da tutte le persone che ci stanno attorno; ci si nota. Siamo vestiti diversi, camminiamo diverso, e siamo bianchi, mentre lì sono quasi tutti color preto(nero) scuro. Cecilia chiede indicazioni per la festa come se fosse una tedesca a piazza Navona; io non credo ai miei occhi e mi manca il respiro: è lei l’uomo della coppia… che poi, a dirla tutta, io mi sento a disagio anche a chiedere indicazioni a piazza Navona… comunque percorriamo una via stretta con tutte le case e i negozi aperti sebbene si sia fatto tardi e, finalmente, raggiungiamo la piazza che ci era stata indicata.
La base rap da spaccare i timpani, edifici di mattonato rosso e lamiere e senza finestre si affacciano come le tribune di uno stadio sul campo di calcetto dove ha luogo l’evento. Agli estremi del campo, sotto una delle due porte, il DJ e le casse; sotto l’altra un folto gruppo di bambini e ragazzini, a occhio dai quattro ai quindici anni, giocano a porta tedesca. Ci sono bambini e ragazzini che spuntano da ogni direzione, a gattoni, scalzi e con scarpette, vestiti o a dorso nudo, da ogni buco, da ogni finestra senza finestra; topi in un luogo abbandonato. C’è una piccoletta magra che si raggira incantata dal pallone che vola e che le passa davanti più veloce di lei e che non veste di altro che di un pannolino rosa e di un ciuccio rosa e si arrabatta tra i calcinacci trovando l’equilibrio con le piccole braccia e con gesti goffi e dolci.
La serata si scalda e i primi a prendere il microfono (e gli ultimi a lasciarlo) sono proprio i bambini: i primi a cercare la loro libertà d’espressione. Nell’improvvisazione di tutti ricorre la parola falar (parlare).
Io e Cecilia nel frattempo abbiamo incontrato i suoi amici e ci siamo ambientati. Chiacchieriamo con il DJ e con gli organizzatori della serata. Beviamo e ci offriamo la cervejinha (la birretta) reciprocamente. C’è chi si meraviglia e prova orgoglio nello scoprire che in quel luogo possano esserci due che arrivano da un luogo così remoto; chiacchierando con alcuni ragazzi mi viene in mente di passare ad una di loro il mio taccuino e la penna perché possa scriverci sopra un messaggio, un messaggio nella bottiglia, da portare via, dove vivo io. Lei è entusiasta e comincia scrivere ma c’è chi dall’idea si lascia spaventare: si precipita da noi un ragazzo che senza degnarmi di uno sguardo tira un ceffone alla ragazza. Io gli parlo, gli chiedo di perdonarmi dovessi aver mancato di rispetto e gli spiego che cosa stavamo facendo; lui sorride e si tranquillizza, la ragazza capisce che sto facendo da palo e ne approfitta per scrivere ancora. L’idea prende piede anche con gli altri che stavano attorno e taccuino e penna passano tra le mani di diversi giovani, ognuno a lanciare il suo messaggio nella bottiglia.

Messaggio nella bottiglia nr.3 da Jacarezinho: Rio, 28/06/2012
Il mio nome è Phalloma e ho 13 anni abito a Jacaré ho molti sogni e mi piace sapere che voi siete stati qui sotto la guardia di Azul (n.d.a. è il luogo specifico dove ci trovavamo) Sono molto allegra e mi è piaciuto molto star qui a divertirmi a giocare con i miei amici e questa è la mia storia.
Baci…
Intanto, nel campetto, l’iniziativa di freestyle sta crescendo di partecipazione e ha successo, tanto che la banda di ragazzini che stava all’angolo del bar dove stiamo prendendo le birre – i capi narco – si sono alzati e sparano due o tre colpi di pistola in aria per festeggiare; sparano, ridono e si abbracciano. C’è solo un sussulto al primo colpo tra i partecipanti, poi ci si fa l’abitudine. Cecilia continua a sorridere e a chiacchierare. Io pure. Sono più tranquillo nonostante sparino: siamo al sicuro perché le persone che ci hanno invitato sono gli organizzatori della serata, è gente del luogo, sono conosciuti e autorizzati da chi adesso sta provocando le stelle con colpi di arma da fuoco.
Ecco i messaggi nella bottiglia.
28.6.12
Una verità che ora vi racconterò abita a Jacaré che è un buon posto dove abitare solo che ci sono molte sparatorie ma è un buon posto dove abitare.
Rio, 28 di giugno del 2012
Il mio nome è Laura, ho 15 anni, abito a Jacarezinho da quando sono nata.
In questa comunità c’è brava gente ed è un buon posto dove abitare, a parte nei giorni di sparatorie tra la polizia e i banditi.
Ma alla fine la comunità di Jacarezinho è il luogo dove io abito e io sono FELICE di abitare qui!
Rio, 28/06/2012
Il mio nome è Phalloma e ho 13 anni abito a Jacaré ho molti sogni e mi piace sapere che voi siete stati qui sotto la guardia di Azul (n.d.a. è il luogo specifico dove ci trovavamo) Sono molto allegra e mi è piaciuto molto star qui a divertirmi a giocare con i miei amici e questa è la mia storia.
Baci…
[…] della più grande del Sudamerica (la Rocinha), o di una sotto il controllo del narcotraffico (come Jacarezinho), non è necessario che si tratti neanche di quella dove Michael Jackson ha girato un suo video; […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] Messaggi nella bottiglia da Jacarezinho (28 giugno 2012) […]
"Mi piace""Mi piace"