Che c’entra Finestra sulla favela con Marco Pannella? C’entra, c’entra. C’entra perché un mio amico radicale, Lorenzo Lipparini, mi ha fatto conoscere Il Sorriso dei miei Bimbi Onlus, che mi ha portato in favela Rocinha; c’entra perché un’altra mia amica, Virginia Fiume, mi ha aiutato a creare questo sito di racconti, per non parlare di Lucilla che mi ha fatto conoscere COOPI, che è l’organizzazione con la quale sto lavorando, e Lucilla e Virginia le ho conosciuta in ambiente radicale; e questo ambiente avevo preso a frequentarlo perché adoravo sentir parlare Marco Pannella su Radio Radicale (anche quando non capivo bene che diceva) e la prima volta che l’ho visto dal vivo fu in occasione di un comizio a Roma allestito davanti alla statua di Giordano Bruno (e poi ci sarebbero stati congressi, fino a un tavolo di raccolta firme di pochi mesi fa). C’entra perché se grazie a Marco Pannella non avessi cominciato ad apprendere il significato profondo della parola Diritto, se non avessi conosciuto le battaglie per le minoranze, forse non mi sarebbe passato per la testa di creare un sito che raccontasse storie di favela, storie di umanità martoriata dalla violenza dell’abbandono e del pregiudizio. C’entra perché ci ha lasciato un caro amico, un caro zio abruzzese, e c’entra perché il sito è mio e ci scrivo quello che mi pare; accetterò le conseguenze.
Ma Finestra sulla favela è un sito di racconti, ed ecco qui il racconto che dedicai a Marco Pannella quando passò a trovarci presso un tavolo di raccolta firme lo scorso 21 dicembre. Gli si dedica un pensiero e dopo si torna in Nigeria (del nord), e dopo si torna alle nostre battaglie.
Racconto di Natale per Marco
Caro Marco, sei passato a trovarci, sei passato a fare tavolo con noi. Noi lì a dire le solite cose: “Una firma per la cannabis terapeutica legale in Lombardia?” “Una firma per il diritto di depositare il testamento biologico?” “Non ti occupi di politica? E te ne fai un vanto? Lo sai che il tuo astenerti è comunque una scelta? Ah, non lo sapevi? Non sei informato dici? Dammi dieci secondi che ti informo io. Va bene, firmi? Bravo, caccia fuori un documento. Guarda, c’è anche Pannella che ti saluta.”
Sono le solite cose, Marco, che si dicono ai passanti di una domenica pre-natalizia durante la quale di solito la gente non ha tempo per firme e battaglie politiche: deve correre a tirare una strisciata di carta di credito per infilarsi sotto al braccio un’altra busta rimpinzata di che cosa? Sono le solite cose, Marco, le solite cose che si dicono: “No, ma guarda che non è che te lo devi comprare tu, il farmaco a base di cannabinoidi, ma con questa firma permetti che lo faccia qualcuno che lo vuole fare e che ne ha bisogno, qualcuno che altrimenti si rigirerebbe nel dolore: non è che solo perché non lo faresti tu allora non lo deve fare nessuno”. “Guarda che se attiviamo il diritto di depositare il testamento biologico, non sarà un obbligo per te che non sei d’accordo: tu potrai continuare a delegare la scelta a un medico o a un prete come adesso, se è ciò che vuoi; piuttosto, facciamo in modo che qualcuno che voglia scegliere abbia il diritto di farlo, capito?”
“Ma che c’entrano la famiglia tradizionale e i valori della patria?” “Ma che cosa vuoi che ti succeda se consentiamo a un malato di SLA di farsi una canna? Quali scenari apocalittici vuoi che si aprano? Ma che c’entra Capezzone adesso?”
Sono le solite cose, Marco, che pronunciamo nel corso di una domenica pomeriggio, una domenica che è anche l’anniversario della morte – sì, della morte, non della nascita (noi pensiamo che si possa celebrare anche la morte) – di Piergiorgio Welby, ma questa volta le pronunciamo con te là dietro che giochi con tre bambini biondi, i genitori dei quali ci tenevano che ti conoscessero, convinti che potessi infondere loro un messaggio importante per la loro corretta crescita: “Buon… Buon Natale…”, auguri ai tre bimbi, e dopo una pausa riflessiva ampia come il respiro ruvido di toscanelli che l’accompagna, ampia come quelle altre che anticipano una litigata con Bordin durante la Conversazione, con lo sguardo bonario di nonno di migliaia di nipoti e con piglio di Babbo Natale: “… e soprattutto… buona Befana!!”.
Sono le solite cose, ma questa volta le diciamo con te là dietro al tavolo che inviti una signora emozionata a sedersi sulle tue gambe: “eddai su, statti qua, via, su!”, con te là dietro che ti presti, e presti faccia e corpo, a soddisfare il desiderio di selfie di decine di passanti; e be’, e con te là dietro, le solite cose le diciamo anche con più determinazione e in una giornata in cui non avresti sperato di raccogliere che poche firme sudate, le firme fioccano. Centoventi e più firme per la cannabis terapeutica in poche ore, centoventi e più per il testamento biologico. Centoventi in più per le legalizzazioni necessarie.
La gente ti riconosce, si trattiene al tavolo: “sempre di fretta… ma sai la dignità di poter fare quindici minuti di fila per una firma che è il segno del tuo impegno politico? Sprechiamo così tanto tempo…”. Marco, non appartieni alla politica, a quella politica che non è politica, e nemmeno a quella non-politica che non è né politica né non-politica; non sei uno dei corrotti, non sei uno dei falsi, fai parte dell’immaginario collettivo: ti riconoscono anche ragazzini di quindici anni pur non avendoti mai visto in televisione, chissà come saranno mai venuti a conoscenza di te, del tuo volto e del tuo nome. Manco fossi una star di X-Factor. E il fattore X, per uno che nella sua vita non ha saputo occuparsi di altro che di politica, della difesa dei diritti di tutti, vale doppio.
Marco, con te là seduto al tavolo per un pomeriggio, rinfreschiamo la convinzione che le nostre saranno anche solo battaglie per minoranze, saranno difficili, censurate, da ultimi giapponesi, ma sono battaglie giuste.
Per questo, alla fine, non mi dispiace non aver fatto con te la foto che pure ho desiderato fare. Non per questo non dimenticherò la stretta di mano forte – come dici tu – di bestia abruzzese, il tuo bacio e il tuo sguardo di stupore: ti sei meravigliato che il mio, di sguardo, potesse essere così colmo di ammirazione, di voglia di incontrarti. Ancora ti stupisci degli sguardi di un attivista, di una signora che passa, di un quindicenne che non si occupa di politica. La foto non l’ho fatta, ma resterà impressa qui l’emozione suggerita da una stretta di mano e da quel tuo sguardo che dopo tanti anni non smette di rivelare la meraviglia dello scoprirsi riconosciuto dalla gente.
Ah, siccome la foto non l’ho fatta, questo racconto l’accompagno con un’immagine di repertorio: un’altra stretta di mano, un altro sguardo, un’altra storia da raccontare.
LEGALIZZALA MARCO!
PS su Radio Radicale si trova moltissimo materiale d’archivio, ma a chi desideri approfondire la storia di Marco Pannella e dei Radicali io consiglio di cominciare dal video degli sputi in faccia a Pannella da parte degli “indignati” (questo qui), sputi ai quali Pannella rispose con questa battuta: “più che indignati sono ingannati”, e dal discorso che Pier Paolo Pasolini avrebbe dovuto tenere al congresso del Partito Radicale pochi giorni dopo il suo assassinio (eccolo).