Come ti stavo dicendo, ci siamo tornate, sì, ci stiamo tornando, ma non tutte, e non tutti sono tornati, e non tutti stanno tornando. A scuola ci hanno detto di lavarci le mani con il sapone, ma il sapone e l’acqua per lavarcele non c’erano. Ci hanno detto di non tenere da parte quelli che hanno preso l’ebola, o che hanno perso qualcuno con l’ebola, perché sono come noi, e anzi, sono eroi, e dobbiamo giocarci, dobbiamo parlarci. Noi ci giochiamo, ci parliamo, e sappiamo chi sono.
I bagni non funzionavano ma almeno c’erano. A casa mia per andare in bagno bisogna uscire di casa. I banchi erano tutti impolverati, e il maestro ha tolto le sedie da caposotto come erano state messe sui banchi per non prendere la polvere tanti mesi fa. La mia scuola è scavata sotto terra per un bel pezzo, e ha le finestre che si affacciano all’altezza della strada asfaltata, quella dove le macchine vanno veloci. Due delle finestre erano rotte. Che importa? A casa manco ce l’ho, le finestre. E poi la pioggia deve ancora arrivare.
Avevamo bellissime uniformi. La mia era verde, con il cappello verde e il vestito verde. Ma in giro ci sono tanti bambini che tornano a scuola, e le loro uniformi sono tutte diverse una dall’altra: blu e bianche a strisce, arancioni con il cappello bianco, azzurro bianco verde come la bandiera della Sierra Leone, fucsia con tanti puntini bianchi e il colletto bianco, e poi ci sono quelle con la camicia normale e i pantaloncini normali diversi dalla camicia, ma i pantaloncini e la camicia ce l’hanno! Gliel’hanno fatti apposta per tornare a scuola; e salterellano, e la cartella ballonzola sulle spalle, e quelli più grandi fanno briga dietro l’angolo con le magliette tirate su per mostrare i muscoli della pancia, e qualche volta quelli, quelli con gli occhi più cattivi, hanno il sasso in pugno. La mia uniforme è verde, e anche il cappello è verde, e sono stata felice di tornare a scuola dopo tanto tempo, così tanto tempo che qualche volta ho pensato che a scuola non ci saremmo tornati mai più.