un impiegato in favela

Momoh

In Finestra sulla Sierra Leone on 14 febbraio 2015 at 17:07
Momoh è quello con la penna

Momoh è quello con la penna in mano, naturalmente.

Sono terre tropicali e steppose. Ci sono le palme, ci sono i fiumi, ci sono le spiagge che si affollano se il branco di barracuda giusto si avvicina a riva; ma ci sono anche le distese di terra arida, composizione di zolle secche una sull’altra, e le perdite dei tubi che generano pozze putride e lasciano le comunità senz’acqua. Ci sono gli stormi di aironi che al tramonto tornano a casa dopo aver pescato. Ci sono bimbi che corrono tra le palme, nella steppa, sotto al volo degli aironi, e c’è un tir che dopo un viaggio infinito trova Momoh ad accoglierlo. Momoh dal sorriso timido che, quando deve riferirti qualcosa, tiene lo sguardo distante, perché ha paura che potrebbe offenderti con uno sguardo diretto.

Ho cominciato a Lakka, dove il magazzino era più piccolo, era per venti posti letto. Solo due o tre container e due stanzette stracolme di tute a protezione totale, guanti di lattice, spray anti-appannamento, secchi e tinozze di plastica, penne, termometri, lenzuola di  cotone e materassi, e grembiuli, vestiti usati, pastiglie di cloro, slipers, che sono le ciabatte per i pazienti modello havaianas, e batterie di tutte le misure, quaderni, spray ammazza-mosche, e detersivi e saponi. Quanto contare, quanto registrare.

Poi mi è stata assegnata fiducia, e ho potuto fare lo storekeeper, cioè, colui che tiene il magazzino, presso un centro di cura dei malati di ebola di cento posti letto, dico cento! Tutta un’altra storia, tutta un’altra professionalità.

Ho molto rispetto per gli internazionali che  si occupano di fare gli ordini e gli acquisti per far sì che nel mio magazzino tornino gli articoli che la gente richiede. C’è qualcosa di magico, di misterioso. Il magazzino apre alle sette e mezza del mattino, e qualcuno arriva dalla tenda di vestizione a chiedermi le tute di protezione totale, le maschere, i guanti, i copri-stivali e i grembiuli di plastica per la giornata, e più tardi arrivano quelli delle penne e dei  quaderni, e ogni tanto quelli dei succhi e dei sali e del latte in polvere per i bimbi, e quelli dei sacchi da morto per gli adulti e per i bimbi, e quegli altri ancora dei sacchi di riso per i sopravvissuti. E se gli articoli vanno in esaurimento e io devo dire di no? Che non capiti mai, che il Cielo ci risparmi da questo flagello. Quando stanno per esaurirsi i rifornimenti di qualche articolo sale un’emozione fortissima che mi travolge. È arrivato il momento di fare la lista degli articoli da ordinare e di portarla ai logisti internazionali di riferimento. Ed ecco la magia: dopo qualche  ora o dopo qualche giorno, ecco l’auto di Mr. Mohammed Jalloh, che si veste sempre molto elegante; oppure, ecco che arriva un camion, oppure addirittura un enorme tir a rimorchio che è un tripudio di pallet. Il tir ha viaggiato tutta la notte ed è tanto grande da dover fare mille manovre per varcare il cancello dell’ospedale. Be’, che arrivi con questo o con quel mezzo, a me sale forte l’emozione tanto che mi viene da sorridere: è arrivato il mio momento. Ho le braccia sufficientemente forti da poter dare una mano ai colleghi del magazzino, e si scarica molto velocemente per poter far tornare a casa l’autista del tir o Mr. Mohammed Jalloh che ha sempre da fare, o chiunque abbia fatto la cortesia di farci arrivare quello che ci mancava, e io mi immagino che il tir abbia attraversato le strade più impervie per giungere in nostro soccorso, quelle asfaltate e quelle polverose, quelle steppose, quelle per le quali, quando ero bimbo, mi divertivo a correre e a capitombolare.

Arriva il mio momento: devo contare. Riconosco gli articoli dalla forma e dal colore delle scatole, e dalla marca impressa in cima ad esse. Di tute a protezione totale di quelle Lakeland gialle ce ne sono 25 per scatola, di quelle Kleenguard arancioni 10; di penne blu, nere e rosse, nella scatola, ce ne sono 50 (e le blu e le nere finiscono sempre prima delle rosse, perché?!). Va contato tutto, suddiviso per misura e per colore, e se manca qualcosa allora bisogna subito avvertire il logista internazionale di riferimento, perché se poi finiscono come si fa? Si lasciano i pazienti da soli in zona rossa? Si lascia il dottore senza penna? E poi come scrive? Bene, quando ho finito di contare, scrivo su un foglio quello che ho contato, e Mr. Mohammed oppure Amara e gli altri mi aiutano a trovare lo spazio adatto ai nuovi rifornimenti. Sposta queste scatole da qui a là e queste altre da là a qua, e aspetta che qualcuno venga a chiederti questo e quello, e allora puoi dire che, sì, hai tutto in magazzino, basta che non chiedano qualcosa di vietato e potranno avere ciò di cui hanno bisogno! Ma tu hai tutto e prepari la consegna e chiedi ai colleghi magazzinieri di  distribuirlo in giro per l’ospedale. Così adesso è tutto più tranquillo, e di saponi, di guanti, di tute, di stivali, di raccoglitori, di evidenziatori, di cavi, di viti, di tubi ce ne sono in abbondanza, e io posso abbassare lo sguardo al suolo e posso ricordarmi di quando correvo tra le palme, per la steppa, sotto al volo degli aironi al tramonto, e come a quei tempi posso lasciarmi andare ad un sorriso, e lasciare che esso scolpisca sulle mie guance le stesse fossette, quelle stesse di allora, quelle che adesso significano che il magazzino è stracolmo e che i dottori e i pazienti riceveranno ciò di cui hanno bisogno. Questo è il mio modo di combattere l’ebola.

Ho perso i miei figli, le mie madri, i miei padri; ho perso la mia casa e i miei amici, ho perso i miei fratelli, a migliaia. La guerra era finita e pregavamo insieme un solo Dio alternando preghiere mussulmane e cristiane, ottenendo il nostro nutrimento dal mare e dalle sue divinità; poi, un giorno, un bambino o un giovane (siamo tutti giovani) ha raccolto un frutto per terra e l’ha morso, e si è scatenato l’inferno. Alcuni di noi sono sopravvissuti, alcuni di noi si sono messi a lavorare, e io sono tra quelli.

Ho lavorato nel magazzino di un centro di cura dei malati di ebola nella località di Lakka, e poi mi sono trasferito in un magazzino più grande, a Goderich. Conto i saponi, i detersivi, le penne, le tute a protezione totale, conto fino a cinquecento articoli diversi in un magazzino di duecento metri quadri, registro tutto, sto all’erta, e faccio in modo che gli infermieri, i medici, gli igienisti che entrano in zona rossa e quelli che restano in zona verde abbiano ciò di cui hanno bisogno. Questa è la mia parte ai tempi dell’ebola. Un abbraccio, Momoh.

N.d.a. Tremate, sono tornati gli untori. Dopo che si saranno presentati, per esempio, Momoh, Lauretta e Mr. Mohammed, la Finestra sulla Sierra Leone si chiuderà (per il momento) con l’ormai consueto racconto della staffa, il racconto della saidera.

  1. […] via. Avevo osservato come si faceva il capo del magazzino e sono stata scelta a spalleggiare Momoh. Lui  mi ha insegnato in due giorni tutto quello che dovevo fare e sapere, a contare i saponi, i […]

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  2. […] Come stai? Dove vai? Una storia che ha incrociato gente importante, quali Mr. Mohammed, Lauretta e Momoh, e decine di altri splendidi esseri umani come […]

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  3. […] Come stai? Dove vai? Una storia che ha incrociato gente importante, quali Mr. Mohammed, Lauretta e Momoh, e decine di altri splendidi esseri umani come loro. Con un inchino e infiniti ringraziamenti, ai […]

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