Da Finestra sulla Sierra Leone Il ritorno, di Un impiegato in favela (ospite di Un ricercatore in favela a Makeni)
Oltre la città, oltre l’asfalto, oltre la collina di Wosum, oltre la ferrovia dei cinesi, che come gli americani di un tempo si spingono sempre più a ovest in una terra per loro nuova, alla ricerca di nuova ricchezza; oltre le palme, oltre le mangrovie, oltre i villaggi di abitazioni dalle pareti di fango e legno e dai tetti di paglia allungati e rotondi, oltre i fiumi che ora danno alla gente da lavarsi, ora interrompono il cammino dei viaggiatori, ora ristagnano in pozze putride di malaria e febbre gialla; oltre i bimbi che cinguettano con gli occhi ricolmi di meraviglia: “opoto, opoto!”, e richiedono money money come tutti i bimbi di favela, o si immobilizzano, incantati dalla visione del primo uomo bianco della loro vita, o si sganasciano dalle risate a rivedersi nell’anteprima di una misteriosa macchinetta digitale; oltre il mercatino di legno, oltre gli altissimi cotton tree sotto ai quali si estendono i villaggi, perché possono fare da vedetta, oltre le palme che offrono il poyo così che quando calano le tenebre almeno si abbia di che far trascorrere la notte; oltre gli accampamenti dei nomadi, che inseguono i loro allevamenti, che a loro volta inseguono acqua e pascoli; più lontano ancora, a Bumbuna, si dice che ci sia una diga costruita da italiani che produce energia idroelettrica per le città. Non sappiamo se sia vero perché le piogge di mesi hanno fatto esondare il fiume e non tutti i veicoli riescono a superare mezzo metro d’acqua che scorre su una strada di fango e pietre: solo quelli dei più coraggiosi.