All’inizio c’è l’accesso a un plano inclinado: un trenino che ti porterebbe in alto in poco tempo e senza fatica se scegliessi di arrivarci così, sulla cima della collina Dona Marta, sulla quale si arrampica la favela di Santa Marta. Se invece scegli di passare attraverso i vicoli stretti e ripidi, allora, lasciandoti alle spalle il grande cartello bianco a scritta blu già arrugginito che ha installato il Governo per segnalare la fermata del treno, passerai da una chiesa cattolica piccola e vuota, con le pareti interne intonacate di bianco e un cristo di legno ferito e sanguinante in fondo, dietro all’altare. Ti lascerai alle spalle la chiesa e comincerai a salire e, continuando sulle scalinate strette e ripide ti sembrerà di passare dentro al salotto delle case, tanto sono stretti i vicoli, e, se devierai lo sguardo di poco a fianco, non potrai fare a meno di guardarci dentro: i letti, i tappeti, le cucine, le televisioni e gli stereo, i gatti e una persona che dorme su un materasso steso per terra, proprio davanti alla porta d’ingresso sempre aperta; allora per discrezione proverai a riportare lo visuale davanti a te, sul cammino che segue.
Adesso l’ingresso a Santa Marta e la chiesetta te li sei lasciati alle spalle da un po’ e sali ancora, e, mentre sali, ti porti sempre dentro la sensazione che tu stia per finire in un vicolo cieco; i bimbi sempre presenti: li vedi giocare sui tetti e te li vedi spuntare da dietro agli angoli; i giovani stanno seduti sugli scalini, a telefonare, a fumare o a far niente. A volte ci finisci per davvero, in un vicolo cieco, allora torni indietro e al bivio appena passato prendi l’altra strada. A volte, girando per i vicoli delle favelas, a Santa Marta come a Rocinha, ti rendi conto che stai per entrare nell’ingresso di una delle abitazioni perché non si capisce dove sia il confine tra la strada pubblica e l’ambiente privato, e qualcuno seduto sugli scalini sta a guardarti senza espressione solo perché stai passando. Allora ti capita di non sentirti a tuo agio e, se stai passeggiando da solo, guardi l’ora, cerchi il sole nello scorcio di cielo che le pareti di mattonato lasciano intravedere, pensi che sarebbe meglio non stare in giro tanto da far venire buio in un luogo dove sei capitato adesso per la prima volta. Tuttavia, se vuoi andare a conoscere nel profondo quel luogo denso di umanità, salirai ancora, anche oltre quel muro di mattonato che vedi in fondo e che, di certo, – ormai l’hai imparato – ha solo l’illusione del vicolo cieco e questa volta si aprirà su un altro vicolo, darà accesso ad un’altra rampa di scale, oppure si allargherà su una piccola piazza dove troverai quattro o cinque bambini a ridere e gridare, rapiti dalla meraviglia di un aquilone che vola.
A Santa Marta, a differenza di Rocinha, non ci sono strade larghe dove possano passare automobili, non ci sono neanche strade strette dove possano passare almeno le moto: ci sono solo vicoli a scale di cemento attraverso i quali si passa a piedi. Per un migliore acesso dalla città alle ultime abitazioni in alto, il Governo ha costruito il plano inclinado di cui prima; ma, se ti capita di visitare Santa Marta in una giornata ordinaria, non vedrai molti abitanti che ci viaggiano. Può darsi che sia utilizzato da alcuni turisti che scelgono di arrivare sulla vetta direttamente, risparmiandosi la scalata. Non so se Michael Jackson l’abbia utilizzato mentre qui girava una parte del video che ha reso famosa questa favela in tutto il mondo, tanto da meritarsi l’affetto degli abitanti e – dopo la sua morte – una statua commemorativa che si trova in una delle piccole piazze. Non so se il plano inclinado l’abbia utilizzato qualcuno degli artisti, da Madonna a Colin Farrell, che, seguendo l’esempio del re del pop, sono passati da queste parti dopo di lui. Di certo le quattro fermate del plano inclinado sono ben sfruttate dai bambini, ancora una volta come base per pilotare i loro aquiloni.
Se vuoi salire ancor più in alto può diventare un cammino faticoso; l’incertezza cresce e i vicoli si fanno più stretti e selvaggi, cammini sopra le cascate di acqua e fogna, aumenta il numero di galli e di galline e di cani; le pareti di alcune case sono sospese nel nulla; se fa caldo sudi e i vicoli si fanno più poveri e abbandonati; ti sembra di percorrere un cammino verso l’Inferno, un Inferno capovolto che devi risalire, e il Paradiso l’hai lasciato in basso. Gli uomini che la scalata se la fanno portandosi sulla schiena sacchi di sabbia e mattoni non mancano mai: ci sono a Santa Marta come a Rocinha; salgono e scendono senza soste come se percorressero un cammino di espiazione in un Purgatorio che non ha luogo e che si confonde con Paradiso e Inferno; ti evitano e sanno che ci sei ma guardano sempre per terra, concentrati sulla loro fatica.
Quando sei quasi in cima, se ti volti indietro, verso Botafogo e Copacabana, vedi un orizzonte sterminato di case e di grattacieli, di mare e di colline verdi, tra le quali la famosa Pão de Açúcar, e, ai piedi di una di queste, una distesa fitta di case quadrate, più piccole e ordinate, e meno colorate di quelle della favela: il cimitero comunale di São João Batista.
Quando arrivi in cima lo capisci che ci sei perché la vista si fa da entrambi i lati di Dona Marta (la collina) e, nel punto più alto dell’Inferno, ti trovi davanti il Cristo, tanto vicino che ti sembra di poterlo toccare con un dito salendo in punta di piedi. Poi c’è un campo da calcetto con bambini in divisa che si lasciano dirigere da un buon maestro, e c’è una chiesa evangelica, di quelle che trovi ovunque nelle favelas: proliferano chiedendo un decimo dello stipendio ai loro adepti in cambio della salvezza dell’anima, che questi raggiungeranno liberandosi delle cose materiali. Infine, sullo scalino più alto di questo Inferno abitato e abbandonato, c’è una stazione dell’UPP: la prima della storia dell’occupazione pacificatrice di Rio.
Scendendo per Santa Marta per tornare all’inizio si può incontrare ancora una scuola di Ju jitzu allestita sotto una capanna di mattoni, dove un altro buon maestro unisce e fa ridere un gruppo nutrito di bambini e di giovani, e può ancora capitarti di desistere dall’intento di fare una pausa cerveja perché quando ti affacci al bancone di un piccolo bar noti un cespuglio bianco che spunta da una coperta appoggiata su un divano e, non notando movimenti, arrivi alla conclusione che il cespuglio è la testa dell’anziano proprietario che si è addormentato.
A chi preferisce non chiedere informazioni ai moradores su dove si possa trovare la statua di Michael Jackson perché anche se la curiosità la coltiva, ha paura di sentirsi ridicolo; a questo qualcuno potrà capitare di lasciarsi alle spalle Santa Marta non avendola vista, la statua commemorativa; d’altra parte, gli capiterà anche, ripensandoci, di immaginarsela con tanti bimbi che ci giocano attorno, incuranti dell’opera e concentrati sul volo del loro aquilone.
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Grazie Fil! Lo cerco subito.
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[…] sotto il controllo del narcotraffico (come Jacarezinho), non è necessario che si tratti neanche di quella dove Michael Jackson ha girato un suo video; quando ci vivi per un mese restando pressoché sempre […]
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[…] una favela, proseguendo una tradizione aperta da Michael Jackson che fu il primo a girare un video-clip in una favela brasiliana – in particolare nella Santa Marta di Rio de Janeiro e nel quartiere […]
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[…] una favela, proseguendo una tradizione aperta da Michael Jackson che fu il primo a girare un video-clip in una favela brasiliana – in particolare nella Santa Marta di Rio de Janeiro e nel quartiere […]
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[…] Il cammino di Santa Marta, la favela (18 luglio 2012) […]
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