un impiegato in favela

L’uomo delle discariche

In Finestra sulla favela Rocinha, Il popolo di Rocinha on 10 novembre 2013 at 15:12

Non so come si chiami; di lavoro fa l’uomo delle discariche: si immerge a piedi e mani nude nelle rare discariche della Rocinha, tutte a cielo aperto, per recuperare lattine, cartoni, componenti di elettronica da rivendere ai negozi e al centro di riciclaggio. È un signore dalle braccia e dalle gambe scheletriche, dalla pelle scura provata dalle infezioni e dagli occhi gialli. Credo che sul petto gli si possano contare le costole, ma le magliette larghe che indossa ne impediscono la vista. Il suo viso è allungato, i capelli ricci sale e pepe, tenuti molto corti, o forse corti perché non gli crescono più. I denti, pochi e gialli spuntano fuori dalle gengive pallide come se fossero i denti di un teschio; le tempie e le guance sono infestate di macchie e di bitorzoli del colore della muffa, come se sotto vi custodisse un allevamento di vermi che stanno sempre fermi perché provati e rintontiti dalla vita dura. Ha il naso e le orecchie allungati dal tempo e una parlantina veloce e sospirata, forse strozzata da qualche bitorzolo che ha in gola; naso, orecchie e parlantina lo rendono buffo come un personaggio dei fumetti.

Non è l’unico a fare questo lavoro. Gli altri abitanti passano vicino agli uomini delle discariche e non si occupano di loro; non gli dedicano uno sguardo né un commento; non provano ribrezzo né pena, alla vista di questi uomini che si immergono nei rifiuti e nei liquami; eserciscono indifferenza e tolleranza, perché capita tutti i giorni da sempre, di incontrarli, e perché chiunque in qualsiasi momento potrebbe trovarsi nella situazione di dover vivere così. Gli uomini delle discariche, dal lato loro, vivono in un angolo della favela, lavorano di giorno, e di notte si cambiano e possono andare a bere una cerveja e ad ascoltare il pagode come tutti gli altri, anche perché sono attività che si svolgono nei vicoli o nella piazzetta, e i vicoli e la piazzetta sono di tutti. L’uomo delle discariche bitorzoluto del quale non conosco il nome vive, lavora e beve attorno alla piazzetta tra la rua quatro e la rua Dioneia. La sera cambia la maglietta sfilacciata e macchiata da lavoro e ne indossa una elegante, colorata e con il colletto. Si siede al bancone del bar che sta di fianco al ristorante verde, oppure ai tavolini di pietra degli scacchi che sono fissi nella piazzetta. Mentre i bimbi salgono e scendono dallo scivolo che sta due gradini più in giù, lui sorseggia il suo bicchiere di birra, magari in compagnia di qualche altro avventore dello stesso bar e della piazzetta.

Capita a tutti, e anche all’uomo delle discariche, di dover passare delle notti da lupi. Nel corso di queste notti, quando piove dentro e fuori e vorresti gridare contro allo strapiombo della collina, l’uomo delle discariche di bicchieri ne versa molti, e allora comincia a barcollare e la sua parlantina si contorce e si fa sempre più confusa. A volte notti così non vengono una alla volta ma si susseguono una dopo l’altra, a costituire un periodo da lupi. Allora l’uomo delle discariche lavora meno, si dimentica di cambiarsi la maglietta prima di affacciarsi al bancone del bar, e barcollando, intesse lunghe discussioni e battaglie di vario genere e con vari antagonisti, ad esempio, con i tavolini del bar, e rischia di capitombolare in mezzo alla strada assieme a uno di questi, quando esso si riveli un nemico più ostico del previsto. Un altro temibile nemico che l’uomo delle discariche si trova a dover affrontare nel corso delle sue notti storte è composto da quei bambini che  passano buona parte della loro infanzia a correre per le strade, a salire e scendere dagli autobus senza biglietto, ad aggrapparsi alle moto e al retro del camion per un passaggio su per la collina, a sgattaiolare dentro e fuori ai cancelletti dei cortili e dei corridoi, a procacciare monete e biscotti, a divellere manifesti e lampioni, a lanciare aquiloni. Girano in gruppo, la loro età varia dai sei ai dodici anni, e quando l’uomo delle discariche barcolla e non si capisce che cosa dica, lo considerano sì e no alla stregua di una lucertola alla quale tagliare la coda, di uno scarafaggio da lanciare addosso alle bimbe per farle gridare, di un aquilone da lanciare al vento. Un uomo già debole di suo a causa di chissà che cos’è che si ritrova a divorargli gli organi e le ossa tenuti insieme a stento dall’involucro di fragile cute , quando ha bevuto un bicchiere di troppo, nulla può fare se non barcollare, per divincolarsi dalla morsa dell’energia infantile che gli si scaglia contro a suon di sassate e spintoni. Allora un adulto in forze, prima che la situazione peggiori, si infilerà tra l’uomo delle discariche e il branco di cuccioli selvaggi di favela, e questi perderanno così la cattiveria che si portavano sul volto durante il linciaggio e gli regaleranno un sorriso accattivante, prima di mettersi in fuga. L’uomo delle discariche sarà sempre riconoscente al suo salvatore, e di lì in poi lo saluterà sempre, spalancando il cavo della sua bocca in un’esplosione di sdentata allegria.

Sulle reazioni del signor Moacir, proprietario del ristorante verde che sta di fianco alla stessa piazzetta, di sua figlia Tainà che nel ristorante lavora come cameriera e cassiera, e di altri avventori, a una delle sfide rocambolesche dell’uomo delle discariche, la finestra si affaccerà con il prossimo racconto.

 

  1. […] nel ristorante verde l’uomo delle discariche, in una delle sue serate storte, una di quelle da lupi, una di quelle in cui se ne va in giro come […]

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