Sono cuccioli di giungla Camile, Renan, Gullherme Sousa e Dadì, quattro intorno ai dieci-dodici anni che, memori della mia generosa offerta di due giorni prima di un bottiglione di Guaranà, quando scendo in piazzetta di sotto dove ci sono i tavolini degli scacchi (ma nessuno gioca mai a scacchi); quando scendo in piazzetta a farmi una cervejinha per conciliare il sonno, memori di quel regalo, mi individuano e mi stanno appresso tutta la sera.
Prima Camile, con dolcezza, mi lascia per qualche minuto e torna con un bicchiere pieno di un intruglio denso che sembra cioccolato, e si mette a mangiarlo in silenzio seduta al tavolo con me, e poi mi fa un disegno sul taccuino; poi arriva Renan, che va più diretto al punto: mi riconosce come quello del Guaranà dunque come uno che potrebbe pagargliene un altro stasera – è pagare il termine che usano, non offrire – e chiede a Camile se le ho pagato io l’intruglio. Anche apprendendo che non l’avevo fatto, mi lascia anche lui una firma… e un omino. È il turno di Gullherme Sousa che autografa pure lui. Infine Dadì, che mi dice come si chiama ma preferisce non scrivere: forse non sa come si fa.
Questa sera di soldi o di regali non se ne parla. Alcuni amici, apprendendo che ho offerto una bevanda domenica sera, mi hanno spiegato di stare attento: nonostante a Rocinha ci siano le macchine e le moto, internet e i negozi, la maggior parte della popolazione vive in miseria, miseria profonda; e quando i ragazzini vedono un gringo sanno che è l’unico dal quale potranno ottenere qualcosa. A chi dovrebbero chiedere altrimenti? Bisogna spiegare loro che non hai soldi, che ti dispiace ma proprio non ne hai per quella sera. Mi hanno detto anche che è meglio spiegarglielo con gentilezza, senza essere scontrosi, così capiranno e accetteranno e, da grandi, dovessero diventare capo-banda, non ti serberanno rancore, ed è meglio così.
Tornando ai quattro cuccioli di giungla che ho incontrato questa sera… quando capiscono che di soldi e regali non se ne parla, non perdono il sorriso, mi abbracciano e mi baciano e si lasciano abbracciare e baciare: non sono alla ricerca solo di leccornie, questi cuccioli, ma anche di un gesto d’attenzione e d’amore: molti di loro sono di fatto abbandonati per strada, raramente vedono un abbraccio.
Corrono e poi ritornano da me, lo fanno di nuovo e poi ancora. Dopo un po’ che studio i loro movimenti mi rendo conto che fanno la posta per essere pronti quando si fermano gli autobus e i moto-taxi, nella speranza che chi scende abbia moneta pronta per loro. Si azzardano anche a salire su un autobus pubblico ma vengono cacciati fuori; si aggrappano al volo a un camioncino di passaggio e si lasciano scaraventare in corsa in mezzo alla strada senza perdere le avaianas né il sorriso; tornano da me correndo e si appoggiano al tavolino degli scacchi, mi guardano e mi sorridono. Li sento ancora adesso, dalla finestra della mia camera, mentre scrivo dei loro cori allegri. Gridano, scherzano e ridono e fanno ridere anche i poliziotti, sono animali selvaggi che sfidano la notte e la morte.
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